Posts Tagged ‘firma digitale’

Autenticazione grafometrica tra privacy ed esigenze di conservazione: è vera semplificazione?

Wacom bamboo pen di cnycompguy, su Flickr

Wacom bamboo pen di cnycompguy, su Flickr

Sul sito del Garante per la protezione dei dati personali sono state recentemente pubblicate le motivazioni, di fatto e di diritto, sulla scorta delle quali il Garante medesimo autorizza il gruppo bancario Unicredit, che aveva avanzato apposita istanza nell’ottica di migliora e snellire i propri servizi, a “trattare” i dati biometrici derivanti dalle firme dei propri clienti.
La lettura del dispositivo offre molteplici spunti di riflessione:
1) in primo luogo va precisato che il Garante ammette il trattamento dei dati biometrici non già per operazioni di sottoscrizione digitale bensì per quelle di autenticazione (= verifica dell’identità della persona che si presenta allo sportello), autenticazione che avviene mediante comparazione (matching) tra la firma apposta al momento su tablet e quelle conservate come “modello” in una apposita base di dati
2) in secondo luogo è interessante osservare come a) nella fase iniziale di enrollement vengano acquisite, da ciascun cliente, ben 6 firme (ciò al fine di crearsi un “profilo medio” di come un individuo firma) ma anche come b) successivamente il sistema sia in grado di “tracciare” l’eventuale processo di modifica nel tempo del modo in cui il cliente scrive (questa dinamicità, per inciso, preoccupa il Garante in quanto potrebbe rivelare aspetti comportamentali dell’individuo)
3) le misure tecnologiche di sicurezza sono molteplici: crittografia tanto al momento della firma quanto in quello del trasferimento dei dati; NON residenza della firma all’interno del tablet (che funge da mero “supporto” di scrittura, definito signpad) bensì in database dedicati all’interno di server siti sul territorio nazionale; conservazione dei dati di log
4) la conservazione dei dati biometrici relativi alla firma dura fintantoché è instaurato il rapporto tra il cliente e la banca; una volta venuto a cessare quest’ultimo c’è l’obbligo della loro cancellazione immediata (al netto di tempi tecnici ed eventuali contenziosi legali pendenti).
Personalmente, pur trovando la maggior parte di queste prescrizioni comprensibili, mi chiedo se esse non siano eccessive e rischino di annullare tutti i potenziali vantaggi. Ad esempio, pur avendo io già a suo tempo espresso perplessità sull’affidabilità del “sistema tablet” nel suo complesso, ritengo che la firma biometrica su tavoletta dovrebbe permettere di sottoscrivere un documento e non ridursi a mero strumento preliminare di verifica dell’identità del cliente (verifica che, beninteso, va fatta)! Che senso ha effettuare l’autenticazione con firma biometrica per poi sottoscrivere le successive operazioni bancarie attraverso strumenti quali le smart card che di certo non brillano per praticità?
Mi pare che in un simile sistema i grattacapi crescano esponenzialmente: infatti, non fossero bastate tutte le preoccupazioni derivanti dalla conservazione dei certificati, delle marche temporali, etc. ci si trova ora a dover conservare per un arco temporale indefinito (quale può essere la durata del rapporto che si instaura tra una banca ed i suoi clienti) pure quelli biometrici relativi alle firme!
Anche alla luce della “Guida alla Firma Digitale” predisposta dall’allora CNIPA, versione 1.3 dell’aprile 2009 (citata dallo stesso Garante), e delle riflessioni dell’avvocato Lisi che avevo riportato in un altro mio post di qualche tempo fa non sarebbe più naturale, oltre che economicamente vantaggioso, sottoscrivere (e non solo autenticare) su tablet, concentrando su questo gli sforzi di conservazione?

iNotebook, a cavallo tra carta e digitale

Di norma quando pensiamo alla scrittura su tablet la nostra mente corre veloce al pennino con il quale “scriviamo”, a mano libera, direttamente sulla superficie della tavoletta.
Da Targus arriva in commercio l’iNotebook, un prodotto decisamente interessante che qui descrivo velocemente non perché io abbia chissà quali finalità promozionali ma molto più semplicemente perché esso rappresenta un interessante punto di congiunzione tra mondo analogico e digitale e potrebbe, se sviluppato nella giusta direzione, togliere alcuni grattacapi che assillano gli archivisti in questi ultimi tempi (ma facendogliene venire di nuovi!).
Ma come funziona l’iNotebook? Come si intuisce dal video postato qui sopra il funzionamento è alquanto semplice: mentre scriviamo sulla nostra agenda (di carta comune) con una speciale penna ad inchiostro con incorporato un sensore, una barra (la si vede chiaramente sul lato superiore) cattura i segnali provenienti via infrarossi dalla penna e li ritrasmette automaticamente via Bluetooth all’iPad. Il risultato è dunque stupefacente: nel momento stesso in cui scriviamo sull’agenda sullo schermo del nostro tablet compare, quasi per magia, il testo. Una volta finito di scrivere possiamo passare a lavorare direttamente sul tablet (la penna si trasforma in stilo), dove possiamo evidenziare il testo, sottolinearlo, impostare sfondi, etc. ed ovviamente inviare il tutto via posta elettronica oppure salvarlo sulla nuvola attraverso servizi quali l’immancabile Dropbox oppure AirPlay.
E se per caso non abbiamo il nostro iPad a portata di mano nessuna paura: il sensore posto sull’agenda può immagazzinare fino a 100 pagine, le quali saranno poi inviate al tablet alla prima sincronizzazione utile!
Un sistema siffatto presenta dunque degli innegabili vantaggi: in primo luogo si gode di tutta la libertà della scrittura a mano libera ma con il vantaggio di ritrovarsi tutto il lavoro pure in digitale e di poterlo qui proseguire e condurre a termine; in secondo luogo si aprono interessanti prospettive in fatto di firma grafometrica ed è su questo che voglio soffermarmi un istante.
Targus non dice se vengono memorizzate anche le caratteristiche biometriche della nostra scrittura (=> della nostra firma) quali ductus, pressione, inclinazione, etc. ma la sensazione netta è di no: l’iNotebook non è stato ideato per fungere da dispositivo di firma (se così fosse stato si sarebbe fatto ricorso ad una trasmissione da agenda a tablet crittografata e non sfruttando un “banale” segnale Bluetooth così come ci dovrebbe essere una banca dati per contenere in sicurezza tutti i dati biometrici).
Assodato dunque che iNotebook non è stato concepito per sottoscrivere digitalmente i documenti, va riconosciuto che un siffatto sistema, adeguatamente sviluppato, potrebbe presentare delle caratteristiche interessanti: se mai un giorno infatti sarà prevista la memorizzazione dei dati biometrici, nel momento in cui andremo a redigere, che so, un testamento olografo o una compravendita tra privati, ci troveremo in possesso dell’originale cartaceo e contemporaneamente del corrispettivo documento nativo digitale (nel senso che non è frutto di un’operazione di digitalizzazione e/o scannerizzazione) entrambi debitamente sottoscritti! Inutile dire che dal punto di vista conservativo il lavoro dell’archivista ne trarrebbe nel contempo giovamento così come vedrebbe insorgere nuove problematicità: giusto per sollevarne alcune, la presenza di un documento su carta e di uno sul tablet può indurci a parlare di originale in duplice copia? Quale dei due conserviamo come buono? L’analogico, il digitale od entrambi (con annessa duplicazione degli sforzi e dei costi ma pure con qualche certezza in più, stante le rodate metodologie di conservazione esistenti per i documenti cartacei a fronte dei mille dubbi che avvolgono la conservazione dei documenti digitali)?
Insomma, tanti pro ma anche tanti contro, non c’è che dire! Possiamo comunque stare tranquilli. Si tratta solo di ipotesi e, così com’è ora, l’iNotebook è un prodotto di nicchia: infatti, a prescindere dal fatto che ad oggi è pensato esclusivamente per l’iPad di Apple, ha anche un costo non indifferente sia di acquisizione (179,99 dollari) che di mantenimento (una penna nuova costa 49,99 dollari ed una ricarica 7,99; relativamente economica solo la carta, costando un’agenda originale 4,99 dollari…). Decisamente non per tutte le tasche!

Nuovo CAD e massimi sistemi

Seminario sul nuovo CAD

Seminario sul nuovo CAD

Tornato da un convegno / seminario sul nuovo CAD, nel corso del quale Gianni Penzo Doria ha come sempre saputo tenere attento e partecipe il numeroso pubblico, mi sono messo come spesso mi capita a fare considerazione sui massimi sistemi.

Infatti sarà stata la semplicemente fantastica “equazione del disordine”:

D*I = C2 (ovvero: Disorganizzazione * Informatica = Casino al quadrato)

la quale può a buon diritto essere riportata nei libri di fisica a fianco della legge dell’entropia oppure sarà stato il senso di smarrimento mistico in cui getta l’operato di un legislatore tanto iperattivo quanto confuso e pasticcione o ancora sarà stata la mia naturale repulsione per tutto ciò che sa anche solo lontanamente di legislativo… insomma sarà stato per tutto un insieme di fattori ma ho ritenuto che non ci fosse nulla di più tranquillizzante che rifugiarsi nei lenti (ma non per questo meno dirompenti) cambiamenti che agendo sottotraccia modificano la vita di tutti noi in modo impercettibile.
In particolare sono partito per la tangente con le mie speculazioni altamente filosofiche nel momento in cui si è parlato di firma elettronica / digitale; difatti, al di là del proliferare di specie e sottospecie, mi ha fatto riflettere il fatto che mentre il documento è attualmente conservabile per un discreto numero di anni, ciò non vale per l’eventuale firma ad esso apposta, essendo quest’ultima, per semplificare, “a scadenza”. Questo problema non da poco è aggirabile se l’utente si accredita ed interagisce (si vedano gli artt. 65 e 47 rispettivamente dei decreti legislativi 82/2005 e 235/2010) all’interno di un sito di una Pubblica Amministrazione: in tal caso infatti tutte le istanze e dichiarazioni vanno considerate per l’appunto come validamente sottoscritte.
In sostanza anche in questo caso, così come in quello parimenti complesso della conservazione digitale, una soluzione efficace pare essere il ricorso ad un “sistema”, visto alla stregua di luogo sicuro nel quale i documenti e gli atti si formano in base alle volontà degli attori chiamati in causa, vengono da essi “usati” ed infine conservati.
Rapito da questo turbinio di pensieri ho ampliato ancor più i miei orizzonti e mi sono soffermato sul fatto che la residenza di questi “sistemi” sarà in un tempo molto prossimo l’eterea “nuvola”, con tutto ciò che ne consegue. Infatti dopo tre decenni di atomizzazione della potenza di calcolo, degli applicativi e delle unità di memoria presso ciascun singolo individuo, il futuro del computing sembra andare inesorabilmente nella direzione dei grossi data center di proprietà anche degli Stati nazionali ma soprattutto dei colossi dell’informatica; data center cui delegheremo parte della capacità di calcolo e sui quali faremo girare i nostri programmi e “archivieremo” i nostri dati e documenti.
Una spinta centripeta che cozza con quella centrifuga alla quale ci eravamo oramai abituati; sarà la rivincita degli eredi dei grandi computer mainstream ed il tramonto dell’era del personal computer e con esso di tutte le promesse di liberazione dell’individuo.

Archivi notarili & dintorni

Questo post si rifà ad una notizia datata (vista la velocità con la quale le divoriamo) ma direi affronta un tema molto interessante.

Roma, 29 ottobre 2010, concorso per diventare notai.

La terza prova scritta salta perché viene fuori che una delle tracce riprendeva palesemente il testo di un’esercitazione svoltasi 3 settimane prima presso la scuola del Consiglio Notarile Romano.

Sdegno da tutte le parti, Bossi che accusa i soliti “romani” nonché la stampa: l’ “affaire Ruby” sarebbe stato creare ad arte per sviare l’attenzione da questo che sarebbe il vero scandalo.

Nell’ottica modesta di questo mio blog e seppur per motivi diversi, credo che Bossi “c’abbia azzeccato” (tanto per citare un altro politico di avversa fazione): Ruby tornerà nel dimenticatoio assieme a Letizia e le altre, di queste gesta del Cavaliere pure rimarranno sbiaditi ricordi.

Ma i possibili danni combinati da una (spero ristretta) schiera di notai raccomandati costretti a barare per intraprendere la carriera, quelli ce li porteremmo appresso per decenni. 100 anni: tanti sono gli anni per i quali la legge stabilisce vadano conservati i documenti nell’archivio notarile. Inutile dire che a sentire queste notizie non dico la fides publica, ma almeno la fiducia, quella viene a mancare!

Se aggiungiamo i problemi tecnologici che si fatica a superare (tra firma elettronica e/o digitale, marche temporali che “scadono”, etc.), le prospettive non è che siano delle più rosee per la tenuta di questi importantissimi complessi documentari.

Un consiglio: fatevi fare la vostra buona copia in cartapecora e tenetevela bella stretta!