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La scomparsa del documento

News obsession word flow experiment #1

News obsession word flow experiment #1 di Samuel Huron, su Flickr

Il titolo di questo post potrebbe apparire ai più eccessivo, ma poiché a leggere in giro è tutto un fiorire di incontri, ricerche ed iniziative incentrate sui dati (declinati in vario modo: big data, open data o ancor meglio sui sistemi che li gestiscono, come CMS, ERP, CRM etc.) è lecito chiedersi che fine farà il nostro “caro vecchio documento”.
Posta nei termini di sfida “dato VS documento” sembra quasi di rispolverare l’annosa querelle tra archivisti (in particolare Elio Lodolini), difensori del documento collocato all’interno dell’archivio e portatore del più ampio ed incomparabilmente superiore “valore archivistico”, e documentaristi che, prendendo il documento nella sua singolarità, lo qualificavano in virtù del valore informativo in esso contenuto.
In effetti l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha visto da un lato l’esplosione quantitativa delle “fonti” di produzione e dall’altro la loro parcellizzazione e tutto (avvento dell’Internet delle cose, nel quale non solo le persone ma anche gli oggetti – lavatrici, televisori, frigoriferi, etc. – sono connessi e trionfo del paradigma del cloud computing) lascia presupporre che questo fenomeno proseguirà spedito nei prossimi anni (alcuni stimano che il volume dei dati in Rete raddoppi ogni 18 mesi). La riprova che dall’informazione si sia scesi al livello sottostante del dato è evidente se si considera che oramai non si sente più parlare di information overload ma, per l’appunto, oggi ci si domanda come gestire (se possibile con un ritorno economico) questa mole sterminata di dati (big data); lo stesso Tim Berners-Lee, padre del world wide web, da lui creato spinto dalla frustrazione di non poter condividere agevolmente documenti (contenenti informazioni strutturate) con altri membri della comunità accademica, è ora un convinto sostenitore del passaggio al Web of Data, come si evince dalla visione di questo interessantissimo suo speech, in modo che potenzialmente tutti possano concorrere, a partire da dati grezzi, alla creazione di nuove informazioni, al raggiungimento di nuove scoperte scientifiche, etc.
In questa sede, come sempre, ci interessano in modo “laterale” i risvolti di business; decisamente più interessante invece approfondire come nella teoria muti, parallelamente all’imporsi del dato sul documento, la definizione di quest’ultimo. Utile a tal scopo riprendere il concetto di vista documentale presentato da Roberto Guarasci, che a sua volta si rifà al “Nuovo CAD” (D. Lgs. 235/2010); stando a questo autore è sempre più comune imbattersi in un documento come

vista, temporalmente identificata e descritta, di un processo di estrazione di dati [il grassetto è mio; n.d.r.] da repository che attesta e qualifica un evento o una transazione

e che costitutivamente sarebbe composta da 3 elementi principali: i log, le evidenze ed i metadati.
In questa definizione di documento, peraltro non confliggente con quella dinamica “as a continuum” alla InterPARES, ritroviamo tutti gli elementi principali finora individuati: i dati innanzitutto, ma anche i processi di conservazione / ricerca / estrazione ed uso a partire da “depositi” qualificati (con i metadati a fungere da imprescindibile corredo).
Le conseguenze archivistiche sono notevoli e meriterebbero di essere approfondite con ben altra ampiezza di respiro; così, su due piedi, impossibile non soffermarsi su alcuni aspetti.
1) Nel momento in cui il documento perde le sue caratteristiche di fissità (essendo l’esito di un processo dinamico di estrazione di dati che possono risiedere in repository geograficamente ed amministrativamente distinte) vengono meno anche le sue caratteristiche “esteriori”. Pertanto 2) risulta impossibile o perlomeno assai difficile effettuare una analisi di tipo diplomatistico per attestare, così come avviene ancora con il documento contemporaneo, la sua autenticità. 3) Al contrario è possibile garantire quest’ultima solo dimostrando l’avvenuta “ininterrotta custodia” dei luoghi fisici (server) nei quali vengono conservati i dati nonché l’adozione (e l’applicazione concreta!) di adeguate policy. Ritorna prepotentemente dunque 4) l’importanza di costruire infrastrutture informatiche adeguate a supportare la mole sterminata di dati che, c’è da scommetterci, la nostra società produrrà negli anni a venire.
Faccio rilevare, per concludere, che questi obiettivi non sono conseguibili agendo in modo rapsodico ma necessitano al contrario di un’attenta e consapevole analisi preliminare cui deve far seguito una sistematica fase “realizzativa” alla quale non sarebbe male che anche gli archivisti dessero il proprio contributo; purtroppo finora l’impressione è che l’approccio tenda soprattutto a tutelare e/o favorire i propri affari (dal marketing alla profilazione degli utenti) specie se si considera che anche in fatto di open data, ovvero quelli di provenienza pubblica, l’intento dichiarato è favorire la nascita di start-up (non che sia un reato, anzi!) senza dunque coinvolgere gli archivi, i quali a mio avviso potrebbero al contrario dare un buon contributo alla causa.

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Nuovo CAD e massimi sistemi

Seminario sul nuovo CAD

Seminario sul nuovo CAD

Tornato da un convegno / seminario sul nuovo CAD, nel corso del quale Gianni Penzo Doria ha come sempre saputo tenere attento e partecipe il numeroso pubblico, mi sono messo come spesso mi capita a fare considerazione sui massimi sistemi.

Infatti sarà stata la semplicemente fantastica “equazione del disordine”:

D*I = C2 (ovvero: Disorganizzazione * Informatica = Casino al quadrato)

la quale può a buon diritto essere riportata nei libri di fisica a fianco della legge dell’entropia oppure sarà stato il senso di smarrimento mistico in cui getta l’operato di un legislatore tanto iperattivo quanto confuso e pasticcione o ancora sarà stata la mia naturale repulsione per tutto ciò che sa anche solo lontanamente di legislativo… insomma sarà stato per tutto un insieme di fattori ma ho ritenuto che non ci fosse nulla di più tranquillizzante che rifugiarsi nei lenti (ma non per questo meno dirompenti) cambiamenti che agendo sottotraccia modificano la vita di tutti noi in modo impercettibile.
In particolare sono partito per la tangente con le mie speculazioni altamente filosofiche nel momento in cui si è parlato di firma elettronica / digitale; difatti, al di là del proliferare di specie e sottospecie, mi ha fatto riflettere il fatto che mentre il documento è attualmente conservabile per un discreto numero di anni, ciò non vale per l’eventuale firma ad esso apposta, essendo quest’ultima, per semplificare, “a scadenza”. Questo problema non da poco è aggirabile se l’utente si accredita ed interagisce (si vedano gli artt. 65 e 47 rispettivamente dei decreti legislativi 82/2005 e 235/2010) all’interno di un sito di una Pubblica Amministrazione: in tal caso infatti tutte le istanze e dichiarazioni vanno considerate per l’appunto come validamente sottoscritte.
In sostanza anche in questo caso, così come in quello parimenti complesso della conservazione digitale, una soluzione efficace pare essere il ricorso ad un “sistema”, visto alla stregua di luogo sicuro nel quale i documenti e gli atti si formano in base alle volontà degli attori chiamati in causa, vengono da essi “usati” ed infine conservati.
Rapito da questo turbinio di pensieri ho ampliato ancor più i miei orizzonti e mi sono soffermato sul fatto che la residenza di questi “sistemi” sarà in un tempo molto prossimo l’eterea “nuvola”, con tutto ciò che ne consegue. Infatti dopo tre decenni di atomizzazione della potenza di calcolo, degli applicativi e delle unità di memoria presso ciascun singolo individuo, il futuro del computing sembra andare inesorabilmente nella direzione dei grossi data center di proprietà anche degli Stati nazionali ma soprattutto dei colossi dell’informatica; data center cui delegheremo parte della capacità di calcolo e sui quali faremo girare i nostri programmi e “archivieremo” i nostri dati e documenti.
Una spinta centripeta che cozza con quella centrifuga alla quale ci eravamo oramai abituati; sarà la rivincita degli eredi dei grandi computer mainstream ed il tramonto dell’era del personal computer e con esso di tutte le promesse di liberazione dell’individuo.

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