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Biblioteche take away

Bibliotheek gesloten / library closed
Bibliotheek gesloten / library closed by Herman Schouwenburg su Flickr

Take away: è proprio con questo anglicismo, che letteralmente significa “portar via” ma che oramai tutti noi associamo all’exploit dei cibi da asporto ed ai connessi servizi di food delivery, che le biblioteche di pubblica lettura, duramente colpite dalle restrizioni alla mobilità sociale adottate per contrastare la diffusione del Covid-19, stanno cercando di rilanciare, perlomeno nella mia regione, il proprio servizio principe, ovvero quello del prestito librario.

Ammetto che dal punto di vista comunicativo lo slogan sia efficace e di sicuro impatto, tale è l’immediatezza del messaggio e chiara la modalità di erogazione del servizio offerto, ma l’idea di assimilare l’operazione di prestito / restituzione di un libro (oggetto con connotazioni valoriali che non sto qui a ricordare) alla consegna a domicilio di una pizza, del sushi o, esempio ancora più calzante, al “ritiro” di hamburger e patatine al McDrive non riesco proprio… a digerirla!

Ma al di là delle scelte comunicative, che possono piacere o non piacere, il punto focale della questione è un altro e decisamente ben più grave. Se il servizio di take away librario può essere interpretato come un tentativo di risposta, ed in questo senso anche come un moto di vitalità, delle biblioteche di pubblica lettura alle prese con questo secondo lockdown, nel contempo ci costringe ad una seria riflessione sulla tenuta complessiva del sistema così come è stato costruito negli ultimi anni.

Fino allo scoppio della pandemia da Coronavirus più o meno tutti vivevamo nella convinzione di aver costruito sistemi bibliotecari sufficientemente strutturati e “ridondanti” (in termini di patrimonio documentario, risorse umane e dotazioni tecnologiche), tali per cui la chiusura di una o più biblioteche del sistema (nodi), non avrebbero sostanzialmente intaccato l’erogazione del servizio ed il suo livello qualitativo.

Pace se l’unico bibliotecario (magari un “precario” dipendente di una cooperativa) si ammalava o andava in ferie, pace se non era stato acquistato o se non era disponibile nella nostra biblioteca di riferimento il libro da noi ricercato, pace se i suoi orari di apertura non erano in linea con le nostre esigenze, pace se… L’appartenenza ad una rete bibliotecaria più ampia, diffusa in modo capillare sul territorio, più “ricca” in termini di personale e di patrimonio documentario, sopperiva alle carenze della singola biblioteca/nodo (esito di anni di pressocchè generale disinteresse da parte degli amministratori, di mancato turnover, di tagli ai fondi…)!

Il Covid ha spazzato via tutte queste certezze: il primo lockdown ha visto un azzeramento dall’oggi al domani dei servizi bibliotecari: chiuse le biblioteche ed a casa i bibliotecari (tanto più in caso di esternalizzazione del servizio), stop a prestiti e restituzioni, stop a qualsiasi attività che prevedesse una qualche forma di interazione fisica (alla faccia della biblioteca come punto di riferimento per la comunità), stop praticamente a tutto!

Da sottolineare che la ripartenza di maggio, lenta e limitata ai servizi basici di restituzione / prestito, è resa possibile grazie a forme di volontariato (spazianti dagli amici della biblioteca, alla Protezione Civile ai giovani del paese) che prodigandosi in encomiabili attività di porta a porta consentono da un lato di recuperare i libri rimasti fuori sin dai giorni del lockdown, dall’altra di consegnare ai cittadini / utenti, bloccati in casa, almeno un bel libro per una buona lettura. Si trattava, va inoltre evidenziato, di una ripartenza a mezzo servizio: di circolazione interbibliotecaria non se ne parla (con le evidenti ripercussioni negative circa la possibilità di accedere a risorse “altre” che vadano al di là del posseduto) e men che meno di riaprire al pubblico gli spazi della biblioteca!

Per questi ultimi bisogna aspettare la bella stagione (benché distanziati, con mascherina, con accessi contingentati, etc.), ma altro non è che un veloce intermezzo. La seconda ondata, scandita dal progressivo accentuarsi delle restrizioni, è infatti dietro all’angolo e manda nuovamente in crisi il sistema bibliotecario, impossibilitato a mettere in campo delle adeguate contromisure.

La questione cruciale a mio avviso è che quelli che erano (sono) i capisaldi irrinunciabili, i punti di forza ed in ultima analisi i valori fondanti delle biblioteche (l’apertura, il ruolo “sociale” a supporto della comunità, la dimensione di servizio, etc.) diventano altrettanti punti di debolezza nel momento in cui i contatti interpersonali devono essere tendenzialmente azzerati. Il ricorso all’accattivante slogan del take away, dunque, rappresenta il comprensibile tentativo di ricordare (agli utenti, agli amministratori pubblici ed in generale a tutte le figure che attorno ad essa ruotano) che la biblioteca c’è e non rinuncia al proprio ruolo, riposizionandosi non a caso su quello che in ultima analisi è il suo compito primario: dare, benché con modalità di contatto “mordi e fuggi”, a ciascuno il suo libro.

PS Nei giorni più duri del primo lockdown a reggere erano quelle biblioteche / quei poli bibliotecari, per fortuna sempre più numerosi, che hanno investito e scommesso nel digitale: l’essere in grado di offrire risorse digitali, l’aver sviluppato per tempo canali di comunicazione ed interazione social ha consentito (benché in favore di un utenza numericamente più ristretta) di continuare la propria operatività. L’accelerazione verso il digitale data dal COVID alla nostra società (dalla didattica a distanza nelle scuole alla maggior confidenza con gli acquisti di beni e servizi digitali – non solo film e musica su piattaforme in streaming, ma anche ebook -, le call, etc.) c’è da scommettere rappresenterà uno dei principali lasciti, obbligando le biblioteche – i cui operatori, che potremmo grossolanamente dividere tra progressisti e conservatori, da anni si accapigliano su queste tematiche – a rompere gli indugi e ripensare e rimodellare sé stesse.

Ebook in biblioteca: facciamo il punto (e alcune riflessioni)

Digital Bookmobile and eBooks di Long Beach Public Library

Digital Bookmobile and eBooks di Long Beach Public Library, su Flickr


IL DIGITAL LENDING OLTREOCEANO

La notizia è di quelle che lascia quantomeno interdetti: negli Stati Uniti, nonostante tutti gli sforzi e gli investimenti profusi in questi ultimi mesi ed anni, il prestito di ebook da parte delle biblioteche non cresce in linea con le aspettative: secondo una ricerca del PEW Research Center per quanto ormai quasi tre quarti delle biblioteche statunitensi preveda questo servizio, appena il 12% dei lettori di libri digitali oltre i 16 anni ha effettuato almeno un prestito! Tra i fattori “frenanti” evidenziati dallo studio alcuni sono, in prospettiva, risolvibili: la mancata disponibilità a catalogo di alcuni titoli oppure la presenza di liste d’attesa che scoraggiano dal prestito sono tutti aspetti che con il tempo scompariranno; se aggiungiamo poi che talvolta non si ricorre al digital lending semplicemente perché si ignora l’esistenza del servizio è lecito attendersi che con un’adeguata campagna di comunicazione i risultati possano essere maggiormente in linea con le attese… e con gli sforzi profusi!
Altri fattori contrari al prestito dell’ebook sono, invece, di natura più “strutturale” e potrebbero per questo rappresentare davvero un ostacolo difficilmente sormontabile; in particolare mi riferisco al “ritratto tipo” del lettore di libri digitali così come si ricava da un’altra ricerca (condotta peraltro sempre dal PEW Research Center e della quale avevo già dato conto anche perché in essa vi si intuivano, in nuce, le difficoltà delle biblioteche): maschio, “giovane” (meno di 50 anni), di istruzione e reddito medio-alti, amante della tecnologia e (probabilmente proprio per questa amplia disponibilità) propenso più all’acquisto che al prestito.

IL PRESTITO DI EBOOK IN ITALIA

Se questa è la situazione oltreoceano, come vanno le cose nelle biblioteche italiane? Per inquadrare meglio la natura dei problemi (e fare le debite proporzioni e distinzioni con gli Stati Uniti) è opportuno fornire preliminarmente alcuni numeri. Secondo i più recenti dati, diffusi dall’AIE ad Editech 2012, in Italia (salvo precisazioni il raffronto è del 2011 sul 2010) la lettura di ebook riguarda il 2,9 % della popolazione sopra i 14 anni (per il 61,5 % maschi), in crescita del 59,2%. Trend positivo anche per quanto riguarda la quota detenuta dall’ebook nel complesso del venduto: + 55,3% pari ad una quota dell’1,1%, complice anche un’offerta più che triplicata (da 7.559 titoli di dicembre 2010 a 31.416 di maggio 2012). Sebbene siamo ancora distanti dagli Stati Uniti, dove la quota di mercato è del 6,2% (e del 13,6% per il settore fiction) e soprattutto dove i lettori digitali rappresentano il 17% del totale, si tratta di numeri da leggere con favore; in particolare fanno ben sperare gli iperbolici tassi di crescita (in valore) dei device di lettura, i quali non potranno non far da traino alla lettura stessa: + 718,8% per gli ereader e + 124,8% per i tablet!
Purtroppo non disponiamo di dati altrettanto copiosi per delineare il prestito dell’ebook in biblioteca, motivo per cui si rende necessario fare un collage delle varie esperienze finora condotte: l’unico dato rappresentativo a livello nazionale è quello fornito da Giovanni Peresson all’ultimo Salone del Libro di Torino e riguarda le 2.300 biblioteche che hanno sottoscritto il servizio proposto da Media Library Online (MLOL), la quale mette a disposizione un catalogo di circa 300mila titoli, recuperati sia attingendo a progetti “aperti” (Gutemberg ad esempio) sia attraverso accordi stipulati con le principali case editrici nazionali.
Quella di avvalersi dei servizi di aziende “intermediarie” come MLOL, le quali si assumono il non facile compito di trovare accordi con gli editori e di realizzare la piattaforma di prestito (negli Stati Uniti un ruolo analogo è svolto, tra gli altri, da Overdrive), non è però l’unica strada percorsa:
1) la rete Reanet, con capofila la biblioteca Fucini di Empoli, ha dal 2010 avviato un progetto, significativamente denominato Una biblioteca in tasca, il quale prevede la costituzione di un proprio repository nel quale immagazzinare gli ebook acquistati così come, al fine di ampliare il “posseduto”, quelli frutto di digitalizzazioni o di altri progetti in corso in ambito nazionale (come Biblioteca Digitale Italiana)
2) la Biblioteca Civica di Cologno Monzese rappresenta oramai un altro classico case study: qui i bibliotecari si sono sobbarcati l’onere di contrattare le migliori condizioni di prestito direttamente con le case editrici (principale motivo del contendere ovviamente il famigerato DRM); gli ebook faticosamente ottenuti vengono poi precaricati sull’ereader ed attraverso quest’ultimo giungono all’utente. Si tratta di una procedura francamente farraginosa, ma così viene descritta nella pagina del progetto né dalla stessa si evince se vi sia stata nel frattempo un’evoluzione nella modalità di erogazione del servizio, in special modo per venire incontro ai sempre più numerosi possessori di un qualsiasi dispositivo di lettura.
Quest’ultima osservazione mi permette di farne una ulteriore: tutti i progetti citati, sperimentali o meno che siano, prevedono il prestito, oltre al libro, dell’apposito ereader. Si tratta sicuramente di una scelta meritoria dal momento che consente a molti utenti di “rompere il ghiaccio” con l’universo digitale ma che ha presentato e presenta alcune controindicazioni: i device hanno un costo relativamente importante, sono soggetti a rottura e soprattutto ad obsolescenza (nessuno di quelli usati nel corso dei primi progetti, tanto per fare un esempio, era touch!). Inoltre tale politica dirotta cospicue risorse che sarebbe meglio se fossero investite in infrastrutture e contenuti. In ogni caso il citato exploit nelle vendite di device di lettura dovrebbe far passare in secondo piano questa prassi, anche se automaticamente imporrà alle biblioteche di prendere decisioni di rilevanza strategica.

COME L’EBOOK (E L’UTENTE) DELINEANO LA BIBLIOTECA DEL FUTURO …

Siamo ad un passaggio cruciale: può sembrare quasi banale ricordarlo ma a seconda di come si intende gestire il passaggio all’ebook, ed in generale al digitale, si viene a delineare la biblioteca del prossimo futuro. Dunque, premettendo che quando si ha che fare con il futuro si entra nel regno del probabile, è altresì innegabile che alcune tendenze di fondo sono evidenti sicché si possono ipotizzare alcuni scenari prossimo venturi.
Non si sottrae all’ingrato compito il “solito” Pew Research Center, il quale attribuisce alle biblioteche di fine decennio il ruolo di aiutare l’utente a districarsi dalle sfide lanciate dalle “3V” dell’informazione: esse dovranno “sfoltirne” il volume (in termini quantitativi), distinguendone nel contempo la valenza (in termini qualitativi), sempre ammesso che si riusca a catturarla, tale è la velocità alla quale essa fluisce! Ne risulta un bibliotecarius novus che deve da un lato fungere da sentinella, valutatore, filtro e certificatore dell’informazione e dall’altro porsi come aggregatore, organizzatore e facilitatore nell’uso della biblioteca (e delle sue risorse!), quest’ultima vista come un nodo informativo a disposizione della community (fisica e virtuale).
Sicuramente le 3V rappresentano tre caratteristiche dell’informazione che mettono in difficoltà l’utente e pertanto l’impostazione di fondo della ricerca, nel momento in cui tenta di far sì che il bibliotecario del futuro sia in grado di affrontare le sfide poste dal modificato sistema informativo, risulta corretta; mi pare però che ci si dimentichi che assieme all’universo informativo cambia l’utente medesimo, il suo modus operandi e le sue aspettative circa i servizi che la biblioteca deve offrirgli e che questo aspetto sia altrettanto, o persino di più, importante.
Un paio di esempi chiariranno meglio i termini della questione, almeno per come la intendo io:
1) la gran parte degli studi sull’ereading hanno evidenziato come con l’ebook si legga a salti e si acquisti in modo compulsivo; nell’era del download indiscriminato ed immediato l’utente potrà tollerare la presenza di liste d’attesa per avere una qualsivoglia risorsa digitale? In tutta sincerità non credo proprio: egli cercherà su Internet (e non negli OPAC / SOPAC!) finché non troverà un’altra biblioteca / servizio in grado di dargli subito quanto desiderato
2) discorso analogo per la sezione emeroteca: è verosimile che un utente attenda il suo turno per leggersi il quotidiano o la rivista preferita? Non penso, specie quando con app come Google Current, Flipboard o Ultima Kiosk (per citarne solo due) può sfogliare sul proprio tablet un’intera edicola! Aggiungiamo che in Rete si possono recuperare pure le annate passate e appare chiaro come, dipendesse dall’utente (al quale ben poco gli importa della conservazione nel lungo periodo, della quale in questa sede evito del tutto di parlare perché finirei fuori dal seminato), la sezione emeroteca avrebbe i giorni contati…
3) il fatto è che l’utente si aspetta servizi ossequiosi del celebre motto di Google “anywhere, anytime and on any device“: egli vuole poter leggere ed informarsi su smartphone, tablet od ereader finché è in metropolitana, su desktop PC finché è in ufficio, su tablet od ereader di nuovo prima di addormentarsi e via di seguito! Poiché il passaggio da un dispositivo all’altro deve avvenire senza complicazioni tecnologiche (non devono esistere “blocchi” che impediscono l’utilizzo su uno o più device, non deve esserci bisogno di convertire tra i vari formati, la sincronizzazione deve avvenire in automatico => si prende in mano il tablet in poltrona e si riprende la lettura lì da dove la si era lasciata ore prima con lo smartphone in treno) è evidente che soluzioni come quelle proposte attualmente in Italia non possono che essere transitorie e destinate a lasciare il campo una volta che sarà terminata l’attuale fase sperimentale.

… E LE POSSIBILI RISPOSTE

Rebus sic stantibus le biblioteche devono a mio avviso porsi le seguenti domande: 1) se l’utente cambia, come dobbiamo cambiare noi per rispondere alle sue aspettative? E soprattutto, 2) quale ruolo possiamo ritagliarci nel nuovo mondo digitale? Procediamo con ordine.
1) La risposta alla prima domanda è presto detta: se le aspettative e le abitudini di lettura dell’utente sono quelle innanzi descritte non ci sono che due alternative: o a) ci si dota di una adeguata infrastruttura tecnologica e della relativa piattaforma di prestito (soluzione da me privilegiata) oppure b) se ne “noleggia” una avvalendosi di servizi come il citato MLOL o ancora meglio Overdrive (per inciso l’annuncio da parte di quest’ultima azienda che entro la fine dell’anno sarà disponibile un ereader web-based che supporta i formati ePub e Pdf e che in linea teorica abbatte in un colpo solo tutti i problemi di sincronizzazione, portabilità, gestione dei diritti, etc.: il lettore legge libri che si trovano “sulla nuvola” e l’unica caratteristica imprescindibile è che i vari device abbiano una qualche modalità di connessione alla Rete). Entrambe le soluzioni presentano pro e contro: nel primo caso (a) i contro sono quelli di acquisto, manutenzione e gestione dell’hardware oltre a quelli, ovvi, di selezione, raccolta, gestione, etc. delle collezioni digitali (che sono il motivo per cui ci si dota di tale infrastruttura!) nonché quelli dell’interfaccia utente attraverso la quale avvengono le operazioni gestionali, di ricerca, prestito, etc.; il principale pro è che (a meno che non si contratti con Amazon o Apple) si mantiene il pieno possesso delle risorse digitali. Nel secondo caso (b) il maggiore aspetto positivo è che a fronte del pagamento per il servizio la biblioteca è sgravata da tutte le incombenze tecnologiche citate, dalle trattative con gli editori, etc. Di negativo c’è però che da un lato non si possiede alcuna risorsa e pertanto se il fornitore incappa in problemi (tecnici, ma anche finanziari) l’erogazione del servizio si interrompe! Inoltre si è praticamente alla mercé delle condizioni imposte da quest’ultimo in termini di prezzi, modalità di prestito, etc.
2) Il secondo punto è solo apparentemente scollegato al primo: infatti l’apparition del nuovo lettore / utente (e delle nuove modalità di lettura) sancirà la fine della “relazione speciale” che la biblioteca ha da sempre tentato di instaurare. Questa istituzione dovrà pertanto ripensare sé stessa: come giustamente sottolineato dalla ricerca del PEW Research Center essa dovrà essere un nodo della Rete e nel contempo essere capace di relazionarsi con la community, obiettivi questi a mio avviso raggiungibili solo a patto di investire, per l’appunto, in tecnologia. Anche per le biblioteche dunque, così come per gli archivi, un vero futuro è possibile solo se si possiede una adeguata infrastruttura. E qui torniamo all’annosa questione dei soldi necessari: ovviamente duplicazioni di strutture sono inaccettabili, tanto più che tra virtualizzazione, cloud computing, etc. esistono eccome modi per razionalizzare il sistema. Ad esempio, poiché la legge sul deposito legale riguarda, tra gli altri, pure gli ebook non sarebbe una malvagia idea che nel momento in cui si creano le indispensabili repository oltre all’aspetto conservativo si prevedesse pure quello della fruizione: Internet Archive è molto dissimile come concetto? Quanti data center credete che abbia? Uno (più probabilmente un sito secondario di ripristino), e riesce ad archiviare l’intero web più video, libri, etc. nonché a reggere il peso di ben 500 richieste al secondo!
Questo solo per mettere in chiaro che tecnicamente è possibile gestire a livello centrale l’intera produzione libraria italiana; poi ovviamente si possono ipotizzare architetture federate in linea con la tradizione italiana e via dicendo, l’importante è che di queste cose si discuta e soprattutto che si faccia concretamente qualcosa!

CONCLUSIONI

Più il fenomeno ebook prenderà piede, più le biblioteche saranno chiamate ad un profondo rinnovamento; considerate le caratteristiche peculiari del nuovo lettore digitale, il libro (ed il suo prestito) non ricoprirà più come in passato un ruolo centrale, ma sarà bensì uno dei tanti servizi offerti. Starà infatti a ciascuna biblioteca individuare il proprio “posizionamento”: centro culturale con WiFi / download area, ibrido tra centro informazioni e centro di documentazione su modello degli Idea Center, Internet Café letterario… le possibili declinazioni sono infinite e dipendono in definitiva dalle esigenze locali, dalla comunità di riferimento, dai soldi a disposizione e da innumerevoli altri fattori.
L’importante è che il passaggio all’ebook, ed al digitale in generale, non venga vissuto dalle biblioteche (ed ancor più dai bibliotecari) in modo passivo e tantomeno come una minaccia: accanto alla inevitabile ridefinizione della propria mission esso lascia intravedere grosse opportunità! Come non pensare, con tutte le sperimentazioni che si fanno in tema di e-learning, che esso possa costituire un’occasione di rilancio per le biblioteche scolastiche? Come non pensare, in ambito accademico / universitario, ad una ulteriore specializzazione in fatto di pubblicazione di e-journal?
Insomma, le possibilità ci sono, basta saperle cogliere!

“Libri in prestito a pagamento”? No grazie!

Nel corso dell’E-book Lab Italia (Rimini, 3-5 marzo 2011) si è parlato, tra le tante cose, di prestito di e-book e relativi modelli di business.
In sostanza Simplicissimus BookFarm ha annunciato che a breve dalla sua piattaforma si potranno prendere a prestito per brevi periodi (24 ore, 1 settimana) e-book (protetti con drm a tempo) ad un prezzo medio di 99 centesimi; questo sistema, si suggerisce, potrebbe poi essere fatto proprio dalle biblioteche.
Similmente afferma di volersi muovere Edigita, appoggiandosi a MediaLibrary, che come noto ha già in essere precisi accordi con le biblioteche.
Ora, sorvolando sull’inopportuna definizione di “prestito di e-book” quando poi si chiedono soldi per tale servizio, capisco che il sistema dei micropagamenti è già stato affinato (iTunes docet) e che dal punto di vista psicologico acquisti così parcellizzati (il prezzo medio, come già detto, è inferiore all’euro) possono spingere ad effettuare molteplici transazioni, ma personalmente non vedo il senso di pagare per prendere a prestito un libro del quale potrei aver voglia/bisogno di rileggere un determinato passaggio. Un libro non è un dvd! Mi si può allora obiettare che, qualora dovessero subentrare nel prestito come intermediarie le biblioteche, il lettore / utente finale non sborserebbe nulla di tasca propria e su questo posso anche concordare.
Il punto però è che alcuni editori chiaramente mirano a by-passare il circuito delle biblioteche, ma in tal caso si torna all’ipotesi di cui sopra: solo in certi specifici casi pagherei per un libro a prestito e dunque per gli editori la vedo dura (essendo la quasi totale gratuità un punto di forza del “servizio bibliotecario” ). Per concludere dal punto di vista delle relazione biblioteche – editori poi è tutto da verificare che alle prime convenga questa formula dei micropagamenti e del pay-per-use: sicuri che non sarebbe meglio un bel piano flat?