Posts Tagged ‘ebook reader’

Personal libraries in the cloud

Personal Pod di mikecogh

Personal Pod di mikecogh, su Flickr

Complici le campagne promozionali particolarmente aggressive lanciate da importanti bookseller (a titolo di esempio Mondadori fino al 6 gennaio se acquisti l’edizione cartacea di un libro inserito in una speciale selezione definita, non senza una certa enfasi, “I magnifici 101”, ti regala pure l’ebook mentre Bookrepublic punta su speciali “cofanetti digitali”, definiti Indie Bookpack Parade, proposti a prezzo iperscontato), l’ebook è destinato a diventare uno dei regali più gettonati del Natale 2014.
Mettendo in secondo piano la parte commerciale (i conti, come sempre, li faremo fra qualche settimana a Festività archiviate), è interessante soffermarsi ora su un risvolto implicito nel prevedibile exploit del libro digitale: in quali “scaffali virtuali” riporremo i nostri ebook?
La risposta non è così scontata né la questione è di lana caprina; il sottoscritto, ad esempio, trova particolarmente scomodo il modo in cui il proprio ebook reader (per la cronaca un Kobo Glo, n.d.r.) gestisce / recupera i libri memorizzati nella microSd oppure nella memoria interna ed allo stesso tempo, per una serie di motivi, non è attratto dalle soluzioni on the cloud proposte dalle varie Amazon, Google, etc.
Approfondiamo la questione, astraendo dallo specifico ereader e/o dal cloud service provider di turno, cercando di evidenziare pro e contro insiti in entrambe le soluzioni.
Per quanto riguarda la prima modalità, essa rappresenta per certi versi l’evoluzione naturale di quanto si faceva fino a qualche anno fa con i libri cartacei: così come li disponevamo in bella vista in una libreria, similmente continuiamo ad organizzarli in file e cartelle (il mio Kobo, riprendendo la terminologia, parla di scaffali) nella convinzione di averne il controllo diretto. “Fisicamente”, infatti, li stipiamo all’interno del nostro lettore di libri digitali o della nostra scheda di memoria: in una simile impostazione per quanto ci si trovi nella dimensione (apparentemente) immateriale tipica del digitale, la “vecchia” e tranquillizzante concezione del possesso fisico è ben presente.
Diverso il discorso qualora si opti per soluzioni “nella nuvola”: in tal caso la sensazione di possesso (e quella intimamente correlata di “attestazione di proprietà”) è nettamente inferiore mentre a prevalere sono considerazioni di ordine pratico, come l’avere a disposizione le proprie letture ovunque ci si trovi ed a prescindere dal device in uso oppure ancora considerazioni in ordine alla “messa al sicuro” della propria biblioteca personale.
Posta in questo modo, parrebbe quasi che la scelta tra salvataggio in locale oppure sulla nuvola derivi soprattutto da “sensazioni” di ordine “psicologico”.
Probabilmente, come spesso avviene in questi casi, la soluzione ideale sta nel trovare il giusto equilibrio tra i vari fattori. Personalmente non rinuncerei ai vantaggi del cloud ma nemmeno mi affiderei a soluzioni, come quelle di Amazon, altamente invasive; la qualità dei servizi offerti dall’azienda di Seattle è senz’altro di prim’ordine ma, come noto, (a parte il fatto che non adotta il formato ePub, cosa che da sola dovrebbe bastare per escluderla) con i libri “acquistati” (o meglio, presi con una sorta di formula di noleggio a lungo termine) non si può fare quel che si vuole. Tutt’altro. Google Play Books, al contrario, è decisamente più flessibile e la sensazione di gestire realmente la propria “biblioteca digitale” nettamente più forte. Di recente, ad esempio, proprio Google ha reso possibile l’upload direttamente da smartphone o tablet Android a Play Books senza dover più passare per il sito web. Purtroppo, come specificato, questa soluzione è possibile solo per dispositivi con sistema operativo del robottino verde sicché la stragrande maggioranza degli ebook reader viene tagliata fuori. La nuova sfida è, evidentemente, far sì che il “dialogo” tra libreria interna al device e quella caricata nuvola sia massimo; si tratta, si badi, di andare oltre alla semplice sincronizzazione, cosa oramai possibile con qualsiasi dispositivo, ma di poter spostare (senza dover ricorrere a cavi e cavetti e tanto meno senza essere obbligati a seguire farraginose procedure che necessitano di un manuale e l’interazione con interfacce grafiche tutt’altro che friendly) i propri libri nella massima libertà, meglio ancora se anche da servizi oramai utilizzatissimi come Drive e Dropbox (che, dal punto di vista logico, potrebbero configurarsi come l’equivalente degli scatoloni – o dei magazzini di deposito per riprendere una terminologia bibliotecaria – dove riponiamo i libri che vengono letti raramente).
Insomma, il mondo dell’ebook per conquistare il pubblico deve ampliare la libertà di scelta e le opzioni a favore dei lettori.

Concludendo, diversamente dal mondo fisico in quello digitale il problema non è più rappresentato dall’assenza di spazio, bensì quello della facilità (o meno) di organizzare e conservare personal digital libraries che, proprio per i motivi esposti, arrivano facilmente a contare migliaia di libri. Allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica un giusto mix tra salvataggio in locale e sulla nuvola rappresenta, probabilmente, l’optimum. In locale non terrei moltissimi libri, anzi metterei solo i miei preferiti e quello/i in lettura; in modo tale si rende l’operazione di ricerca e recupero (in genere macchinosa a causa delle interfacce grafiche vetuste, rispetto a telefonini intelligenti e computer a tavoletta, degli e-reader) più agevole e veloce. La possibilità complementare di realizzare sulla nuvola una copia di sicurezza mi da, allo stesso tempo, la garanzia di avere sempre con me tutti miei libri così come la ragionevole certezza di non perderne nemmeno uno (laddove se mi rubano oppure mi si rompe l’ereader sono guai seri).
Questo, ribadisco, è il consiglio che mi sento di dare allo stato attuale delle cose. Per il futuro fondamentale sarà l’evoluzione soprattutto a livello software: gli ereader, in particolare, devono migliorare nettamente le loro prestazioni se non vogliono venir surclassati. Già oggi le varie applicazioni (Android o iOS) permettono di organizzare gli ebook in scaffali virtuali con una libertà impensabile, assicurando a questa classe di dispositivi un indubbio vantaggio competitivo rispetti ai rivali i quali oramai dalla loro possono vantare (oltre al giusto equilibrio tra tendenza al possesso e quella all’accesso) solo l’incredibile autonomia. Ciò li rende a tutti gli effetti le nostre “biblioteche personali” viaggianti. Un capitale non disprezzabile che non va sprecato.

Kobo, un gradito upgrade del sistema operativo

Kobo Glo picture

La home del mio Kobo Glo, con Pocket in bella vista

In più di un post ho sostenuto la necessità che i produttori di ebook reader adottassero come sistema operativo Android o che, perlomeno, si sforzassero di creare, a livello di user interface, un qualcosa che ci si avvicinasse.
A riguardo devo ammettere che l’ultimo upgrade ricevuto dal mio Kobo Glo va decisamente in questa direzione! Intendiamoci, siamo distanti anni luce da un’interfaccia ad icone tipo iOS od Android, ma il salto di qualità rispetto al passato è netto ed indiscutibile.
Già con un aggiornamento di qualche mese fa si era fatto un enorme passo in avanti a livello di interfaccia, più pulita ed ordinata (in particolare la home è organizzata in riquadri che per certi versi ricordano le mattonelle di Windows 8), oggigiorno si è proseguito lungo questa strada: in particolare la novità che salta immediatamente agli occhi è l’installazione nativa di Pocket, una delle tante applicazioni del tipo “salva adesso, leggi dopo” (come Instapaper, Readability, dotEPUB) presenti sul mercato.
Grazie a Pocket la lettura di testi trovati in Rete diviene un gioco da ragazzi: infatti mentre fino a ieri (personalmente usavo dotEPUB) per leggere un testo convertito sul mio ebook reader dovevo o trasferirlo collegandomi via cavo USB oppure scaricare il relativo file in modo macchinoso da Dropbox (Dio solo sa quanto è scomoda tale operazione) oggi ho due opzioni: 1) navigo con il browser preinstallato sul Kobo Glo, nel quale è adesso presente il tasto “Save to Pocket” in basso a destra, salvo il testo di mio interesse e vi accedo dall’apposita pagina in cui ritrovo tutti i miei bookmark 2) installo Pocket sui miei dispositivi (PC, tablet, laptop, smartphone; a riguardo Pocket supporta tutti i principali sistemi operativi, n.d.r.), quando trovo un testo di mio interesse lo salvo ed una volta che accendo il Kobo si avvia anche la sincronizzazione, cosicché mi ritrovo nell’apposita sezione tutti gli articoli salvati.
Evidentemente la seconda via è quella più agevole continuando ad essere la navigazione con il browser del Kobo assai problematica (a livello di velocità di apertura delle pagine, di difficoltà di interazione con i pulsanti di navigazione, di presentazione errata o mancata dei contenuti).
Ciò non toglie che si tratti ugualmente di una gran bella novità che peraltro potrebbe riaprire alcuni scenari, che sembravano preclusi dall’affermazione di “contenitori” tipo Flipboard, in fatto di utilizzo degli ebook reader per la lettura di periodici, giornali e riviste.
Certo, se il sistema operativo fosse stato Android oppure iOS si sarebbe potuto scegliere anche con quale app farlo, senza essere vincolati a quella “incorporata” dal produttore. Ma forse sono troppo esigente…

Ebook reader: quando a contare è l’ambiente di lavoro non distrattivo

Ritengo interessante riproporre anche in questo blog il video qui sopra non tanto per l’indubbia utilità che esso può ricoprire qualora ci si dovesse malauguratamente trovare tra le mani un tablet con il display frantumato ma soprattutto perché, al di là delle evidenti differenze che tuttora permangono tra schermi e-ink e retroilluminati, il protagonista del video, Donald Bell, man mano che procede al settaggio che trasformerà la sfortunata tavoletta in un ebook reader dedicato elimina (consciamente?) proprio tutti quelle caratteristiche (schermo touch, notifiche dai vari social network, etc.) che possono rappresentare per il lettore altrettanti elementi di disturbo.
In sostanza Bell ci mette di fronte al dato di fatto che la differenza tra tablet ed ebook reader non è una questione squisitamente tecnologica ma anzi, e forse soprattutto, concettuale: il primo, essendo progettato per fare molte cose, tende ad essere “caotico” ed in un certo senso induce il suo possessore a passare da un’applicazione all’altra (task-switching) senza consentirgli di concentrarsi adeguatamente su nessuna di esse; il secondo al contrario offre un ambiente di lavoro meno distrattivo e che meglio si adatta all’attività che con esso si dovrebbe principalmente fare, ovvero leggere.
C’è dunque da chiedersi se la probabile convergenza cui andranno incontro queste due classi di dispositivi rappresenti un effettivo vantaggio per gli amanti della lettura o se, al contrario, questo processo non comporti più svantaggi che vantaggi.
A mio avviso un fattore cruciale sarà il prezzo: viene naturale pensare che, dovessero le differenze di prezzo rimanere le attuali (ovvero estremamente risicate in rapporto a ciò che tavolette e lettori di libri digitali possono dare), il consumatore medio accorderà il proprio favore a quei device “generalisti” che consentono di soddisfare un maggior numero di esigenze.
Al contrario, qualora i prezzi degli ebook reader dovessero scendere divenendo competitivi allora probabilmente molte persone valuterebbero la possibilità di possedere un dispositivo dedicato per la lettura. Con tutti i benefici che ciò comporta.

La promozione dell’ebook e la lezione di Google ed Amazon

Ebook reader in esposizione in una nota catena

Ebook reader in esposizione in una nota catena

La notizia della probabile prossima apertura, da parte di Google e di Amazon, di un punto di vendita fisico è di quelle che impongono quanto meno una riflessione, se non un vero e proprio ripensamento, su come è stata finora effettuata la promozione dell’ebook e degli ebook reader.
Ma partiamo dalla notizia: che cosa ha indotto queste due aziende, indissolubilmente legate nell’immaginario collettivo al “virtuale” mondo della Rete, a rivedere così drasticamente il proprio approccio? A mio avviso hanno concorso più fattori: in primo luogo ci si è resi conto dell’importanza di avere quello che nel linguaggio del marketing è definito flagship store (vale a dire un luogo fisico che trascende il mero punto vendita, essendo il fine non tanto – o perlomeno non solo – mettere in vetrina i propri prodotti ma soprattutto trasmettere al mondo la propria cultura aziendale ed i valori che l’azienda intende incarnare e diffondere), importanza a sua volta derivante dall’esigenza di fronteggiare in qualche modo lo strapotere mediatico (che si riflette nel valore del brand) attualmente detenuto da Apple; dall’altro lato, ed è questa a mio modo di vedere la principale motivazione, sta la constatazione che il solo canale online da solo non basta in quanto i clienti hanno bisogno di un “contatto fisico” con i prodotti che poi si andranno ad acquistare (e questo vale tanto più ora che sia Google che Amazon hanno prodotti fisici a proprio marchio da vendere, vedasi famiglie Nexus e Kindle, Chromebook, Google Glasses, etc.). Quanti di noi del resto, prima di effettuare una transazione online, hanno pensato bene di fare una capatina in un negozio fisico per provare quel vestito, quel paio di scarpe oppure per testare il funzionamento di un dato cellulare, monitor Tv, etc. ed essere così certi che il prodotto adocchiato faceva effettivamente al caso nostro?
Ammettendo dunque che anche il cliente più tecnologico abbia il desiderio, prima di procedere all’acquisto, di “toccare con mano”, possiamo affermare che questa possibilità sia garantita nel settore del libro digitale (ovviamente qui faccio riferimento all’ereader, imprescindibile supporto di lettura; n.d.r.)? La risposta che possiamo dare credo sia solo parzialmente positiva.
Il panorama infatti non è molto confortante e c’è da chiedersi quanto possa aver influito in negativo sulle vendite di ebook reader e, a cascata, di ebook.
L’osservazione preliminare da fare è che non c’è paragone tra l’imponenza delle campagne pubblicitarie fatte a favore dei tablet e quelle fatte per gli ereader. In seconda battuta bisogna ammettere che il prodotto ereader in sé non viene valorizzato a dovere: nelle grandi catene di elettronica i lettori digitali sono presentati con schede tecniche spesso inadeguate e, come se non bastasse, senza spazi dedicati (niente a che vedere con la centralità che assumono i device di casa Samsung o dell’Apple, giusto per fare nomi…) e, pare inconcepibile, non immersi nel reparto libri (qualora presente) come verrebbe spontaneo pensare, rappresentandone essi pur sempre la controparte digitale, ma bensì confinati in angoli marginali!
Le cose non vanno meglio se si passa ad analizzare la situazione di quegli ebook reader messi in vendita presso le librerie di catena: di norma infatti presso queste ultime si trovano ereader di una specifica azienda, con la quale i colossi editoriali che stanno alle spalle hanno stretto rapporti più o meno di esclusiva (penso a Mondadori / Kobo oppure Melbookstore (ora IBS) / Leggo IBS), il che rende difficile se non impossibile una comparazione diretta a parità di illuminazione, di esposizione ai raggi solari, etc. (ed essendo il fattore discriminate quello dello schermo, questa limitazione assume un particolare rilievo!).
In sostanza, posto che le biblioteche non possono e non devono svolgere un ruolo da capofila in questo ambito (conviene che queste ultime si concentrino sullo sviluppo delle proprie collezioni digitali), appare evidente che le uniche a poter ricoprire un ruolo positivo in questo settore, dal quale peraltro come da più parti ipotizzato potrebbero a loro volta trarre nuova linfa vitale, sono le librerie indipendenti, che dovrebbero approfittare di questa fase transitoria per avviare la trasformazione in librerie digitali indipendenti. Si tratterebbe, inutile dirlo, di un cambiamento non facile e soprattutto non immune da rischi. E’ tutt’altro che garantito infatti, analogamente a quanto avviene con gli altri settori merceologici, che i clienti, una volta effettuata la comparazione, comprino l’ereader là dove spuntano il prezzo migliore! Bisogna sperare, pertanto, che la qualità del servizio garantito, anche in termini di rapporti umani, venga premiato dalla preferenze degli utenti nel momento dell’acquisto.

Ebook, è il momento di osare

DOK Delft

DOK Delft (di Gerard Stolk – vers la Chandeleur -, su Flickr)

I dati non sono ancora completi ma oramai non ci sono molti dubbi residui: le ultime festività, che secondo molti dovevano consacrare l’ebook ed in generale l’editoria digitale, sono state avare di soddisfazioni (qui un’accurata sintesi dell’orgia di numeri ai quali siamo stati esposti nelle ultime settimane).
Credere semplicisticamente che questo risultato deludente sia stato influenzato dalla crisi / stagnazione economica che ha contribuito a congelare i consumi non aiuta a comprendere bene lo stato delle cose. Ad esempio lo shopping 2011-12 è andato proporzionalmente meglio nonostante i cataloghi meno forniti! La causa principale di questo mezzo flop va dunque a mio parere ricercata altrove: per la precisione va preso atto che la tecnologia e-ink che caratterizza gli ereader agli occhi dei potenziali acquirenti ha (oramai a parità di prezzo!) un evidente minor appeal rispetto ai tablet, che non a caso non hanno accennato di rallentare la loro corsa (fatta eccezione per quelli di fascia alta prodotti dalla Apple). La prima classe di dispositivi (gli ereader) è appannaggio dei soli cosiddetti “lettori forti” che sono anche i principali “consumatori” di ebook mentre i lettori deboli optano piuttosto per dispositivi più versatili ed “universali” come le tavolette, usate anche per leggere seppur nel corso di “sessioni di lettura” mediamente di minor durata.
Detta in soldoni il rallentamento nelle vendite di lettori per libri digitali potrebbe dunque semplicemente indicare che è stata saturata la peraltro non vastissima platea dei lettori forti (verosimilmente tra i primi ad essere incuriositi dalla novità rappresentata dall’ebook) e che ora viene la parte difficile, ovvero riuscire a convertire al Verbo della lettura digitale chi gran lettore non è!
Ciò a mio avviso non è un’utopia ma senz’altro possibile a patto che tutti gli altri attori osino (e talvolta concedano) qualcosina:
1) partiamo dai produttori di device: gli ereader si stanno sviluppando troppo lentamente (motivo per cui il tasso di sostituzione non è elevato; non fosse per la recente introduzione dell’illuminazione frontale un dispositivo “vecchio” di un paio di anni non è molto inferiore ad uno ora sugli scaffali, laddove i tablet hanno fatto passi da gigante). E’ necessario dunque spingere sulla ricerca al fine di introdurre sul mercato quanto meno ereader con display a colori (su larga scala) e basati su sistema operativo che consente di godersi un minimo di applicazioni multimediali!
2) gli editori da parte loro dovrebbero studiare politiche di prezzo (e di marketing) più aggressive e nel contempo più creative: negli Stati Uniti, per fare un esempio, Humble Bundle nell’ultima tornata è riuscita a raccoglier 10 milioni di dollari vendendo, a prezzi stabiliti dall’acquirente, pacchetti di videogiochi, libri, film… tutti rigorosamente DRM free! Sono certo che in un momento di tagli ai bilanci delle famiglie l’iniziativa sarebbe gradita ed il successo senz’altro replicabile anche di qua dell’Atlantico.
3) le biblioteche dovrebbero premere sull’acceleratore del digitale: sono consapevole che ciò implica onerosi investimenti e che le relative tecnologie sono soggette a veloce obsolescenza ma sono convinto che, se si trova il giusto punto di equilibrio, il sistema sia sostenibile (posto che le biblioteche sono sempre in perdita!). D’altro canto se, come ricorda l’ennesima ricerca del Pew Research Center, il 53% degli utenti statunitensi sopra i 16 anni apprezzerebbe un incremento nell’offerta di ebook, qualcosa bisogna pur fare!
4) gli Stati poi dovrebbero a loro volta fare il massimo per agevolare questo settore strategico: tassazione favorevole sui libri digitali e relativi lettori, investimenti per l’appunto nelle biblioteche (e se i soldi non ci sono favorendo il mecenatismo e/o le sponsorizzazioni!), promozione della lettura e via di questo passo.
Se questa terapia d’urto dovesse venire veramente attuata sono certo che l’intero ecosistema che ruota attorno al libro digitale spiccherebbe, stavolta definitivamente, il volo.

Amazon svela alcuni segreti della tecnologia Paperwhite: rappresenta davvero lo stato dell’arte?

Amazon ha postato su Youtube un video nel quale svela con maggior dovizia di dettagli alcuni aspetti tecnici relativi al funzionamento del suo nuovo display Paperwhite: in particolare viene spiegato in modo intuitivo come sia stato concepito e realizzato il nuovo sistema di illuminazione frontale (front-lit) grazie al quale è possibile leggere anche in un ambiente non illuminato (il caso classico è a letto prima di addormentarsi).

In sostanza, come si sarà evinto dalla visione del video, diversamente da uno schermo LCD a retroilluminazione, nel Paperwhite la luce arriva dall’alto preservando così i due vantaggi da sempre riconosciuti all’inchiostro elettronico: a) il non affaticare la vista b) la perfetta leggibilità anche nel caso in cui lo schermo sia esposto direttamente ai raggi del sole o comunque usato in un ambiente altamente illuminato.
Il vero capolavoro tecnologico di Amazon comunque non è stato semplicemente l’aggiungere la luce bensì il modo attraverso cui si è raggiunto l’obiettivo: rispetto al Nook Touch Glowlight di Barnes & Noble, che pure è fornito di un particolare reticolo di diffrazione per meglio diffondere la luce emessa dal LED posto sul bordo superiore dell’ereader stesso, l’illuminazione complessiva dello schermo risulta migliore (mentre nel lettore di B&N i bordi, specialmente quello superiore in prossimità del LED, risaltano nettamente, come si constata in questo viedo). I tecnici di Seattle sono stati in altri termini capaci di realizzare, al di sopra del touchscreen capacitivo, uno strato (dello spessore di mezzo millimetro) maggiormente capace rispetto ai device rivali di “trasportare” la luce per tutta la lunghezza del display e di “sparare” la luce verso il basso in modo nettamente più omogeneo (lo stesso sistema di controllo del livello di illuminazione appare più raffinato). Il risultato finale pertanto è davvero notevole tanto più che si è riusciti a non impattare negativamente sulle prestazioni della batteria.
Insomma, il Kindle Paperwhite è davvero un ottimo ereader anche se non posso negare la mia simpatia per il Kobo Glo, che in fatto di omogeneità dell’illuminazione non ha molto da invidiare (qui un video d’esempio) al ben più chiacchierato collega ma che, specifiche tecniche alla mano, a parità di dimensioni dello schermo (6 pollici) pesa meno ed è più fino e, aspetto da non trascurare (anche se qui entriamo nel soggettivo), ha un look decisamente più accattivante.
Per concludere, sicuramente con questa generazione “illuminata” di ebook reader è stata innalzata l’asticella delle caratteristiche tecniche minime indispensabili ma nemmeno si può dire che siano stati raggiunti gli obiettivi finali, ovvero da un lato la possibilità di fruire di contenuti multimediali (leggasi audio e video) dall’altro la comparsa dei colori, indispensabili per far sì che interi generi e tipologie (fumetti, graphic novel, magazine, riviste, etc.) possano venire fruiti con il massimo grado di soddisfazione anche attraverso gli ereader.

L’ebook ha bisogno di “buona pubblicità”?

Amazon Kindle 2 Wireless eBook Reader

Amazon Kindle 2 Wireless eBook Reader di goXunuReviews, su Flickr

L’altro giorno ero infruttuosamente alla ricerca sul web di dati aggiornati circa la quota di vendite di ebook detenute rispettivamente dagli editori tradizionali (Mondadori, Feltrinelli, etc.) e da quelli newcomer intimamente connessi alla presunta Primavera Digitale cui staremmo andando incontro (da SBF a Barabba alla galassia del self publishing) sennonché mi sono imbattuto in un’interessante pagina nella quale era riportato quello che gli economisti definiscono il sentiment (a marzo 2011) degli operativi relativamente, nel caso specifico, alle prospettive dell’ebook (il panel degli intervistati era dunque costituito dai rappresentanti delle associazioni degli editori e/o da personaggi di rilievo del mondo editoriale dei principali paesi avanzati).
Ciascuno di essi era stato chiamato ad esplicitare stringatamente i motivi di ottimismo ed al contrario quelli di preoccupazione; tra questi ultimi ho ritrovato quelli che oramai tutti sappiamo a menadito: incognite giuridico-legali (protezione della proprietà intellettuale e dei diritti di sfruttamento dell’opera d’ingegno, lotta alla pirateria, ripartizione dei proventi con gli autori), concorrenza (sleale) di colossi quali Amazon e Google che sono e probabilmente diventeranno pure editori, difficoltà di trovare accordi con le biblioteche e via discorrendo.
L’aspetto interessante della vicenda è che le preoccupazioni italiane (a rappresentare il Belpaese era Stefano Mauri, presidente ed amministratore delegato di GEMS) erano legate all’IVA al 20% (oggi elevata al 21%) rispetto al 4% del libro cartaceo e soprattutto alla necessità che sulla stampa apparissero informazioni corrette relative all’ebook. Riporto testualmente:

We feel it is important that publishers help the media to print correct information about e-books.

Queste parole vanno contestualizzate e probabilmente appaiono più chiare se legate ad una intervista che lo stesso Mauri ha rilasciato al Corriere della Sera all’incirca nello stesso periodo e nella quale, prendendo le difese della categoria, si difende dall’accusa (diffusa ed accettata in Rete, i cui navigatori sarebbero più o meno manovrati dai colossi di Internet) che gli ebook costano proporzionalmente troppo rispetto ai libri di carta a causa, per l’appunto, dell’IVA al 20%. Ora, a parte il fatto che le remore degli italiani ad abbandonarsi ai libri digitali non derivano solo dal prezzo ma dipendono anche dai DRM, dalla difficoltà di orientarsi tra device di lettura e formati oltre che da una generale scarsa alfabetizzazione informatica, mi fa sorridere che in un paese come l’Italia in cui gli incroci azionari sono inestricabili e molti editori di libri sono nel contempo proprietari di quotidiani, periodici e relativi portali Internet (esempi sono Mondadori, RCS, etc.) si richieda la presenza di una corretta informazione!
Posto che la disponibilità di informazioni chiare, veritiere e prive di preconcetti è essenziale affinché i possibili nuovi lettori digitali si decidano a compiere il grande passo verso l’ebook, non so se a distanza di oltre un anno gli editori siano soddisfatti della buona (o cattiva) “fama” che circonda l’editoria digitale. Sicuramente non mi sembra che in questo lasso di tempo gli editori abbiano compiuti significativi passi per eliminare quelle tare che sopra elencavo; forse sarebbe ora che essi si rendessero conto una volta per tutte che sono essi stessi per buona parte i principali artefici del proprio destino! Il tempo stringe, tra poco tutti i colossi al di là dell’Atlantico scenderanno in forza nell’agone europeo, ed allora la resa dei conti non potrà essere più rimandata.