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La biblioteca come showroom

IMG_1650 by Bernard Oh, on Flickr

IMG_1650 by Bernard Oh, on Flickr

Il futuro delle biblioteche è uno dei temi più dibattuti negli ultimi anni dagli addetti del settore e non solo. L’ufficializzazione, alcune settimane fa, da parte di Amazon di un rumor che in verità girava oramai da tempo, ovvero che, analogamente a quanto già fatto con film e musica, l’azienda di Seattle a breve permetterà ai propri utenti / clienti l’accesso senza restrizioni (il programma si chiama, significativamente, Kindle Unlimited) al proprio catalogo di oltre 600mila libri in versione digitale a fronte di un pagamento mensile di appena 10 dollari, ha messo ulteriormente in fibrillazione un mondo, quello del libro e di tutto ciò che ci ruota attorno (case editrici, librerie e naturalmente biblioteche), che fatica a trovare un suo modello “sostenibile” e, con esso, un suo equilibrio.
Le reazioni e le analisi come al solito non sono mancate e sono spaziate dal classico “è la fine, prepariamoci a chiudere” (posizione così apocalittica da stroncare sul nascere qualsivoglia tentativo di dibattito e di controargomentazione) ad altre molto più ragionate e, proprio per questo motivo, stimolanti: “dobbiamo adeguarci ai cambiamenti imposti dal digitale” oppure, all’opposto, “dobbiamo continuare sul solco della tradizione, creandoci una nicchia” oppure ancora, specie nel caso delle biblioteche (riecheggiando Lankes, n.d.r.) “dobbiamo sganciarci dal libro e puntare tutto sulla capacità di creare nuove relazioni”.
Personalmente ritengo che una delle analisi più concrete e meritevole di approfondimento sia quella apparsa sulle colonne del Wall Street Journal: il titolo, Why the public library beats Amazon – for now, è a dir poco controcorrente rispetto alla communis opinio.
Secondo l’autore, Geoffrey A. Fowler, sono molteplici i motivi che per il momento sanciscono questa “superiorità” della biblioteca pubblica: la gratuità del servizio, la facilità dell’operazione di prestito, una sbagliata strategia di vendita di Amazon tale per cui Kindle Unlimited entra in conflitto con Prime (gli abbonati a questo servizio possono leggere gratis un libro al mese, numero più che sufficiente per la maggior parte dei lettori, n.d.r.) nonché la presenza di un catalogo “cumulativo” che non solo dal punto numerico non sfigura rispetto a quello del gigante dell’e-commerce ma che anzi primeggia sotto il punto di vista qualitativo. Fowler esegue, a riguardo, una minuziosa analisi del numero di best-seller presenti nel catalogo delle biblioteche pubbliche ed in quello di Kindle Unlimited, evidenziando come le prime siano indubbiamente meglio fornite. Qual è il motivo?
La causa va rintracciata in quella che Fowler definisce la hate-hate relationship instaurata da Amazon con gli editori e ben esemplificato, da ultimo, dalla disputa in atto con Hachette: questi, non a torto dal loro punto di vista, vedono di cattivo occhio i vari tentativi di abbassare i prezzi degli ebook e di accorciare la catena trattando direttamente con gli autori ed hanno trovato, in questo conflitto tra titani, un prezioso alleato nelle biblioteche (il fatto che i rapporti biblioteche – case editrici storicamente siano stati tutt’altro che idilliaci la dice lunga sulla qualità dei rapporti con Amazon…).
E qui veniamo al punto centrale della questione; scrive testualmente Fowler: “Publishers have come to see libraries not only as a source of income, but also as a marketing vehicle. Since the Internet has killed off so many bookstores, libraries have become de facto showrooms for discovering books” (il grassetto è mio, n.d.r.).
Non è da oggi che si discute sul ruolo che librerie e biblioteche possono svolgere in qualità di “vetrine” delle novità editoriali così come di “educatori” nell’utilizzo dei nuovi device di lettura e, a riguardo, posso sostanzialmente essere d’accordo purché vi sia la consapevolezza che si tratta, per le biblioteche, di un’arma a doppio taglio.
Nella letteratura specialistica, ad esempio, sono pressoché all’ordine del giorno gli articoli ed i libri che trattano di come progettare nuove ed accattivanti biblioteche o che presentano le nuove realizzazioni; si badi, non sono contrario a queste nuove biblioteche, tutt’altro (a chi non piacerebbe lavorare in un bel luogo di lavoro? Come posso sperare di richiamare utenti se non offro loro edifici accoglienti e funzionali?)! Semplicemente ritengo essenziale, proprio per evitare di cadere nel paradigma della library as a showrooom, che allorquando si avviano i progetti di nuove biblioteche / di restyling di esistenti, più che delle questioni “da archistar” (o perlomeno accanto ad esse, volendo concedere qualcosa all’estetica) si parli anche di conservazione, di catalogazione, di prestito, etc. vale a dire di tutte quelle attività che rappresentano il core, la ragion d’essere dell’istituto biblioteca.
Il non farlo equivarrebbe a ridurre le biblioteche ad una sorta di para-librerie, le quali come già anticipato stanno seguendo un percorso affine: in particolare le grandi case editrici che controllano le principali librerie di catena stanno progressivamente chiudendo i punti vendita periferici sostituendoli con nuovi ispirati al concetto di flagship store; quest’ultimo, guarda caso, nasce dalla constatazione che architettura, marketing e vendite sono strettamente connessi, in quanto il poter disporre di building (= negozi) che rappresentano essi stessi punti di attrazione all’interno del tessuto cittadino (= del bacino di clienti) funge da detonatore per la crescita del valore del brand e della sua notorietà (=> delle vendite).
Naturalmente mentre i gruppi editoriali hanno tutti i loro buoni motivi per cercare di migliorare le proprie vendite, le biblioteche, posto che anch’esse devono essere permeate dalla cultura del risultato (=> aumentare il numero di utenti, prestiti, etc.) e del miglioramento dei servizi erogati, non devono nemmeno operare come aziende private votate al profitto; pertanto non è necessario abbracciare le pratiche di marketing più spinte anche perché, come già ricordato, quella che nel breve periodo pare essere un’insperata ancora di salvezza potrebbe finire per trasformarsi, nel medio-lungo, nella loro definitiva condanna.

La promozione dell’ebook e la lezione di Google ed Amazon

Ebook reader in esposizione in una nota catena

Ebook reader in esposizione in una nota catena

La notizia della probabile prossima apertura, da parte di Google e di Amazon, di un punto di vendita fisico è di quelle che impongono quanto meno una riflessione, se non un vero e proprio ripensamento, su come è stata finora effettuata la promozione dell’ebook e degli ebook reader.
Ma partiamo dalla notizia: che cosa ha indotto queste due aziende, indissolubilmente legate nell’immaginario collettivo al “virtuale” mondo della Rete, a rivedere così drasticamente il proprio approccio? A mio avviso hanno concorso più fattori: in primo luogo ci si è resi conto dell’importanza di avere quello che nel linguaggio del marketing è definito flagship store (vale a dire un luogo fisico che trascende il mero punto vendita, essendo il fine non tanto – o perlomeno non solo – mettere in vetrina i propri prodotti ma soprattutto trasmettere al mondo la propria cultura aziendale ed i valori che l’azienda intende incarnare e diffondere), importanza a sua volta derivante dall’esigenza di fronteggiare in qualche modo lo strapotere mediatico (che si riflette nel valore del brand) attualmente detenuto da Apple; dall’altro lato, ed è questa a mio modo di vedere la principale motivazione, sta la constatazione che il solo canale online da solo non basta in quanto i clienti hanno bisogno di un “contatto fisico” con i prodotti che poi si andranno ad acquistare (e questo vale tanto più ora che sia Google che Amazon hanno prodotti fisici a proprio marchio da vendere, vedasi famiglie Nexus e Kindle, Chromebook, Google Glasses, etc.). Quanti di noi del resto, prima di effettuare una transazione online, hanno pensato bene di fare una capatina in un negozio fisico per provare quel vestito, quel paio di scarpe oppure per testare il funzionamento di un dato cellulare, monitor Tv, etc. ed essere così certi che il prodotto adocchiato faceva effettivamente al caso nostro?
Ammettendo dunque che anche il cliente più tecnologico abbia il desiderio, prima di procedere all’acquisto, di “toccare con mano”, possiamo affermare che questa possibilità sia garantita nel settore del libro digitale (ovviamente qui faccio riferimento all’ereader, imprescindibile supporto di lettura; n.d.r.)? La risposta che possiamo dare credo sia solo parzialmente positiva.
Il panorama infatti non è molto confortante e c’è da chiedersi quanto possa aver influito in negativo sulle vendite di ebook reader e, a cascata, di ebook.
L’osservazione preliminare da fare è che non c’è paragone tra l’imponenza delle campagne pubblicitarie fatte a favore dei tablet e quelle fatte per gli ereader. In seconda battuta bisogna ammettere che il prodotto ereader in sé non viene valorizzato a dovere: nelle grandi catene di elettronica i lettori digitali sono presentati con schede tecniche spesso inadeguate e, come se non bastasse, senza spazi dedicati (niente a che vedere con la centralità che assumono i device di casa Samsung o dell’Apple, giusto per fare nomi…) e, pare inconcepibile, non immersi nel reparto libri (qualora presente) come verrebbe spontaneo pensare, rappresentandone essi pur sempre la controparte digitale, ma bensì confinati in angoli marginali!
Le cose non vanno meglio se si passa ad analizzare la situazione di quegli ebook reader messi in vendita presso le librerie di catena: di norma infatti presso queste ultime si trovano ereader di una specifica azienda, con la quale i colossi editoriali che stanno alle spalle hanno stretto rapporti più o meno di esclusiva (penso a Mondadori / Kobo oppure Melbookstore (ora IBS) / Leggo IBS), il che rende difficile se non impossibile una comparazione diretta a parità di illuminazione, di esposizione ai raggi solari, etc. (ed essendo il fattore discriminate quello dello schermo, questa limitazione assume un particolare rilievo!).
In sostanza, posto che le biblioteche non possono e non devono svolgere un ruolo da capofila in questo ambito (conviene che queste ultime si concentrino sullo sviluppo delle proprie collezioni digitali), appare evidente che le uniche a poter ricoprire un ruolo positivo in questo settore, dal quale peraltro come da più parti ipotizzato potrebbero a loro volta trarre nuova linfa vitale, sono le librerie indipendenti, che dovrebbero approfittare di questa fase transitoria per avviare la trasformazione in librerie digitali indipendenti. Si tratterebbe, inutile dirlo, di un cambiamento non facile e soprattutto non immune da rischi. E’ tutt’altro che garantito infatti, analogamente a quanto avviene con gli altri settori merceologici, che i clienti, una volta effettuata la comparazione, comprino l’ereader là dove spuntano il prezzo migliore! Bisogna sperare, pertanto, che la qualità del servizio garantito, anche in termini di rapporti umani, venga premiato dalla preferenze degli utenti nel momento dell’acquisto.

#SalTo12. Riflessione n. 1

Stand Amazon

Lo stand Amazon al Salone del Libro di Torino del 2012

L’editoria digitale è stato il tema principe della venticinquesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino: gli organizzatori della manifestazione hanno non a caso scelto come slogan quello di “Primavera Digitale”, volendo con esso evidenziare come un po’ tutti gli operatori ripongano le loro speranze nelle nuove frontiere digitali per risollevare le sorti complessive dell’editoria e magari garantirle un prospero futuro.
Per chi come il sottoscritto si diletta a scrivere di “cose digitali” è sicuramente una cosa da salutare con favore ma sul fatto che poi si tratti di una speranza ben riposta è tutto da verificare! I lettori più assidui di questo blog ben sapranno che sull’argomento ho una posizione alquanto “problematica”, nel senso che non perdo mai l’occasione di sottolineare come le cifre del digitale in valori assoluti continuano ad essere modeste e che il modello di business che va per la maggiore rischia di fungere da freno anziché da volano per la crescita.
E che l’editoria digitale e l’ebook rappresentino ancora una nicchia appare in modo palese dallo spazio relativamente esiguo occupato a livello di stand espositivi: nonostante il digitale fosse il tema principale del Salone, “mappa alla mano” stimo che l’area “Book to the Future” coprisse al massimo il 7-8 % dell’area espositiva totale. Se si considera poi che in questo 7-8 % fossero presenti produttori di device “puri” come Sony e Trekstor ed altri impuri / ibridi come IBS ed Amazon (ma anche realtà legate al social reading come Zazie.it) si intuisce come gli editori digitali veri e propri fossero davvero una esigua parte e soprattutto come essi possano apparire, specie agli occhi del pubblico “generalista” del Salone, quasi delle mosche bianche!
E proprio ai lettori tradizionali il passaggio attraverso l’area “Book to the Future” deve aver provocato, mi immagino, una certa sensazione di disorientamento: nessuna pila di libri in bella mostra, nessun catalogo delle opere ma modelli di ebook reader o addirittura, presso lo stand di BookRepublic, una gentile ragazza che “confezionava” a tutto spiano con uno strano macchinario palloncini d’aria contenenti un codice grazie al quale, previa registrazione sul sito Bookrepublic.it, ottenere dieci ebook gratis.
Sicuramente una trovata pubblicitaria originale che testimonia appieno come, nel momento in cui viene a mancare il supporto fisico del libro (con la copertina che di suo rappresentava un potentissimo strumento di persuasione all’acquisto, assieme ovviamente ad altre efficaci strategie come il passaparola, le recensioni, le presentazioni in TV, in libreria e in biblioteca, etc.), la funzione aziendale “marketing” si trova a svolgere un ruolo sempre più centrale, quasi alla pari dell’imprescindibile lavoro editoriale “sul testo”, e sicuramente superiore rispetto a quello, attualmente importantissimo per le aziende “fisiche”, della distribuzione / logistica.
Le case editrici stanno cambiando “vestito”, che stia arrivando la Primavera?