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Personal libraries in the cloud

Personal Pod di mikecogh

Personal Pod di mikecogh, su Flickr

Complici le campagne promozionali particolarmente aggressive lanciate da importanti bookseller (a titolo di esempio Mondadori fino al 6 gennaio se acquisti l’edizione cartacea di un libro inserito in una speciale selezione definita, non senza una certa enfasi, “I magnifici 101”, ti regala pure l’ebook mentre Bookrepublic punta su speciali “cofanetti digitali”, definiti Indie Bookpack Parade, proposti a prezzo iperscontato), l’ebook è destinato a diventare uno dei regali più gettonati del Natale 2014.
Mettendo in secondo piano la parte commerciale (i conti, come sempre, li faremo fra qualche settimana a Festività archiviate), è interessante soffermarsi ora su un risvolto implicito nel prevedibile exploit del libro digitale: in quali “scaffali virtuali” riporremo i nostri ebook?
La risposta non è così scontata né la questione è di lana caprina; il sottoscritto, ad esempio, trova particolarmente scomodo il modo in cui il proprio ebook reader (per la cronaca un Kobo Glo, n.d.r.) gestisce / recupera i libri memorizzati nella microSd oppure nella memoria interna ed allo stesso tempo, per una serie di motivi, non è attratto dalle soluzioni on the cloud proposte dalle varie Amazon, Google, etc.
Approfondiamo la questione, astraendo dallo specifico ereader e/o dal cloud service provider di turno, cercando di evidenziare pro e contro insiti in entrambe le soluzioni.
Per quanto riguarda la prima modalità, essa rappresenta per certi versi l’evoluzione naturale di quanto si faceva fino a qualche anno fa con i libri cartacei: così come li disponevamo in bella vista in una libreria, similmente continuiamo ad organizzarli in file e cartelle (il mio Kobo, riprendendo la terminologia, parla di scaffali) nella convinzione di averne il controllo diretto. “Fisicamente”, infatti, li stipiamo all’interno del nostro lettore di libri digitali o della nostra scheda di memoria: in una simile impostazione per quanto ci si trovi nella dimensione (apparentemente) immateriale tipica del digitale, la “vecchia” e tranquillizzante concezione del possesso fisico è ben presente.
Diverso il discorso qualora si opti per soluzioni “nella nuvola”: in tal caso la sensazione di possesso (e quella intimamente correlata di “attestazione di proprietà”) è nettamente inferiore mentre a prevalere sono considerazioni di ordine pratico, come l’avere a disposizione le proprie letture ovunque ci si trovi ed a prescindere dal device in uso oppure ancora considerazioni in ordine alla “messa al sicuro” della propria biblioteca personale.
Posta in questo modo, parrebbe quasi che la scelta tra salvataggio in locale oppure sulla nuvola derivi soprattutto da “sensazioni” di ordine “psicologico”.
Probabilmente, come spesso avviene in questi casi, la soluzione ideale sta nel trovare il giusto equilibrio tra i vari fattori. Personalmente non rinuncerei ai vantaggi del cloud ma nemmeno mi affiderei a soluzioni, come quelle di Amazon, altamente invasive; la qualità dei servizi offerti dall’azienda di Seattle è senz’altro di prim’ordine ma, come noto, (a parte il fatto che non adotta il formato ePub, cosa che da sola dovrebbe bastare per escluderla) con i libri “acquistati” (o meglio, presi con una sorta di formula di noleggio a lungo termine) non si può fare quel che si vuole. Tutt’altro. Google Play Books, al contrario, è decisamente più flessibile e la sensazione di gestire realmente la propria “biblioteca digitale” nettamente più forte. Di recente, ad esempio, proprio Google ha reso possibile l’upload direttamente da smartphone o tablet Android a Play Books senza dover più passare per il sito web. Purtroppo, come specificato, questa soluzione è possibile solo per dispositivi con sistema operativo del robottino verde sicché la stragrande maggioranza degli ebook reader viene tagliata fuori. La nuova sfida è, evidentemente, far sì che il “dialogo” tra libreria interna al device e quella caricata nuvola sia massimo; si tratta, si badi, di andare oltre alla semplice sincronizzazione, cosa oramai possibile con qualsiasi dispositivo, ma di poter spostare (senza dover ricorrere a cavi e cavetti e tanto meno senza essere obbligati a seguire farraginose procedure che necessitano di un manuale e l’interazione con interfacce grafiche tutt’altro che friendly) i propri libri nella massima libertà, meglio ancora se anche da servizi oramai utilizzatissimi come Drive e Dropbox (che, dal punto di vista logico, potrebbero configurarsi come l’equivalente degli scatoloni – o dei magazzini di deposito per riprendere una terminologia bibliotecaria – dove riponiamo i libri che vengono letti raramente).
Insomma, il mondo dell’ebook per conquistare il pubblico deve ampliare la libertà di scelta e le opzioni a favore dei lettori.

Concludendo, diversamente dal mondo fisico in quello digitale il problema non è più rappresentato dall’assenza di spazio, bensì quello della facilità (o meno) di organizzare e conservare personal digital libraries che, proprio per i motivi esposti, arrivano facilmente a contare migliaia di libri. Allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica un giusto mix tra salvataggio in locale e sulla nuvola rappresenta, probabilmente, l’optimum. In locale non terrei moltissimi libri, anzi metterei solo i miei preferiti e quello/i in lettura; in modo tale si rende l’operazione di ricerca e recupero (in genere macchinosa a causa delle interfacce grafiche vetuste, rispetto a telefonini intelligenti e computer a tavoletta, degli e-reader) più agevole e veloce. La possibilità complementare di realizzare sulla nuvola una copia di sicurezza mi da, allo stesso tempo, la garanzia di avere sempre con me tutti miei libri così come la ragionevole certezza di non perderne nemmeno uno (laddove se mi rubano oppure mi si rompe l’ereader sono guai seri).
Questo, ribadisco, è il consiglio che mi sento di dare allo stato attuale delle cose. Per il futuro fondamentale sarà l’evoluzione soprattutto a livello software: gli ereader, in particolare, devono migliorare nettamente le loro prestazioni se non vogliono venir surclassati. Già oggi le varie applicazioni (Android o iOS) permettono di organizzare gli ebook in scaffali virtuali con una libertà impensabile, assicurando a questa classe di dispositivi un indubbio vantaggio competitivo rispetti ai rivali i quali oramai dalla loro possono vantare (oltre al giusto equilibrio tra tendenza al possesso e quella all’accesso) solo l’incredibile autonomia. Ciò li rende a tutti gli effetti le nostre “biblioteche personali” viaggianti. Un capitale non disprezzabile che non va sprecato.

Kobo, un gradito upgrade del sistema operativo

Kobo Glo picture

La home del mio Kobo Glo, con Pocket in bella vista

In più di un post ho sostenuto la necessità che i produttori di ebook reader adottassero come sistema operativo Android o che, perlomeno, si sforzassero di creare, a livello di user interface, un qualcosa che ci si avvicinasse.
A riguardo devo ammettere che l’ultimo upgrade ricevuto dal mio Kobo Glo va decisamente in questa direzione! Intendiamoci, siamo distanti anni luce da un’interfaccia ad icone tipo iOS od Android, ma il salto di qualità rispetto al passato è netto ed indiscutibile.
Già con un aggiornamento di qualche mese fa si era fatto un enorme passo in avanti a livello di interfaccia, più pulita ed ordinata (in particolare la home è organizzata in riquadri che per certi versi ricordano le mattonelle di Windows 8), oggigiorno si è proseguito lungo questa strada: in particolare la novità che salta immediatamente agli occhi è l’installazione nativa di Pocket, una delle tante applicazioni del tipo “salva adesso, leggi dopo” (come Instapaper, Readability, dotEPUB) presenti sul mercato.
Grazie a Pocket la lettura di testi trovati in Rete diviene un gioco da ragazzi: infatti mentre fino a ieri (personalmente usavo dotEPUB) per leggere un testo convertito sul mio ebook reader dovevo o trasferirlo collegandomi via cavo USB oppure scaricare il relativo file in modo macchinoso da Dropbox (Dio solo sa quanto è scomoda tale operazione) oggi ho due opzioni: 1) navigo con il browser preinstallato sul Kobo Glo, nel quale è adesso presente il tasto “Save to Pocket” in basso a destra, salvo il testo di mio interesse e vi accedo dall’apposita pagina in cui ritrovo tutti i miei bookmark 2) installo Pocket sui miei dispositivi (PC, tablet, laptop, smartphone; a riguardo Pocket supporta tutti i principali sistemi operativi, n.d.r.), quando trovo un testo di mio interesse lo salvo ed una volta che accendo il Kobo si avvia anche la sincronizzazione, cosicché mi ritrovo nell’apposita sezione tutti gli articoli salvati.
Evidentemente la seconda via è quella più agevole continuando ad essere la navigazione con il browser del Kobo assai problematica (a livello di velocità di apertura delle pagine, di difficoltà di interazione con i pulsanti di navigazione, di presentazione errata o mancata dei contenuti).
Ciò non toglie che si tratti ugualmente di una gran bella novità che peraltro potrebbe riaprire alcuni scenari, che sembravano preclusi dall’affermazione di “contenitori” tipo Flipboard, in fatto di utilizzo degli ebook reader per la lettura di periodici, giornali e riviste.
Certo, se il sistema operativo fosse stato Android oppure iOS si sarebbe potuto scegliere anche con quale app farlo, senza essere vincolati a quella “incorporata” dal produttore. Ma forse sono troppo esigente…

Dove va l’ereader?


Kobo HQ

Kobo HQ di CC Chapman, su Flickr

Nel corso della London Book Fair del 2013 Kobo, azienda nippo-canadese, un po’ a sorpresa ha annunciato il lancio in edizione limitata di un nuovo lettore per libri digitali, significativamente chiamato Kobo Aura HD.
Anche alla luce delle caratteristiche tecniche di questo nuovo device l’occasione è giusta per avventurarci in una analisi di quelle che possono essere le prospettive future degli ereader.
Ma partiamo dal Kobo Aura: quale dovrebbe essere il quid che induce i lettori ad acquistarlo, tenendo anche presente che costa 169,99 dollari e che, dunque, con poche decine di dollari in meno si compra il comunque valido Kobo Glo (giusto per restare in casa) e con alcune decine in più si acquista un tablet?
Già quell’ “HD” nel nome dovrebbe far intuire come si sia puntato tutto sullo schermo e la connessa migliore esperienza di lettura: il nuovo AURA HD infatti può vantare un display touch con illuminazione frontale da 6.8″ e tecnologia eInk Pearl con una densità di 265 dpi ed una risoluzione di 1440 x 1080 che lo rende (specifiche alla mano) l’ereader in commercio con lo schermo più grande e più definito.
Ulteriori migliorie, stando sempre ad un’analisi sulla carta, sono poi avvenute in quanto 1) a potenza del processore (20% in più) ergo a velocità di risposta ai comandi (il tutto a parità di gigahertz ovvero uno, come quello del Kobo Glo; verosimilmente le accresciute prestazioni sono state ottenute cambiando processore, anche se nessun dettaglio viene fornito al riguardo) ed a 2) capacità di storage, raddoppiate da 2 a 4 Gigabyte con possibilità di arrivare sino a 32. Pure la tenuta della batteria è aumentata: a parità di utilizzo si passa dal mese abbondante del Glo ai due dell’Aura.
Altri aspetti elencati come pregi sono a mio avviso altamente soggettivi: mi riferisco in particolare alla presunta migliore maneggevolezza e portabilità del nuovo device (che peraltro trovo esteticamente molto bello). Di sicuro esso è più grande, più spesso e più pesante in confronto al Kobo Glo (precisamente 175.7 x 128.3 x 11.7 mm per 240 g VS 114 x 157 x 10 mm per 185 g) così come rispetto al Kindle Paperwhite (che misura 169 x 117 x 91 mm per 213 g), motivo per cui, anche ammettendo che l’ergonomia ed i materiali consentano una presa salda, trovo questa affermazione quanto meno opinabile!
Ma veniamo al nocciolo della questione: la comparsa di un dispositivo come il Kobo Aura HD quale impatto può avere sulla sorte del mercato degli ebook ereader? Ricordo infatti che nel 2012 le vendite di lettori per libri digitali sono crollate di una percentuale che, a seconda delle società di ricerca, va dal 28 al 36% e che le prospettive, alla luce di altri sondaggi (come quello del PEW Institute che descrive come molti leggano oramai abitualmente su tablet), sono tutt’altro che rosee.
La risposta che mi do è negativa per i seguenti semplici motivi: 1) puntare sull’aumento delle capacità di storage non ha molto senso quando la tendenza è di stipare le proprie risorse digitali sulla cloud; anche per garantire un continuo accesso alla nuvola 2) più utile sarebbe stato aggiungere la connettività 3G (la 4G / LTE oggettivamente sarebbe sprecata), la quale avrebbe nel contempo assicurato una mobilità senza vincoli! 3) Nessun passo in avanti è stato fatto verso un’interfaccia che contempli la presenza di icone: non si tratta, si badi, di scimmiottare i tablet ma di sfruttare meglio i propri ebook reader (come spero di aver dimostrato in questo mio post di qualche tempo fa). Infine, 4), lo schermo HD frontlit segnerà pure un ulteriore step della tecnologia eink ma è un dato di fatto che dopo il Nook Color di Barnes & Noble non sono stati fatti apprezzabili passi in avanti verso quello che deve essere il vero obiettivo, ovvero un ereader a colori… e a prezzo abbordabile! L’assenza di colore è tanto più incomprensibile nel momento in cui Mike Serbinis, CEO di Kobo, afferma in un’intervista a Techcrunch che lo schermo da 6,8 serve a facilitare la lettura di magazine e fumetti, attualmente letti quasi esclusivamente su tablet attraverso applicazioni sviluppate ad hoc. Posto che nemmeno quest’ultima è la soluzione ideale, se quelli di Kobo pensano che i lettori preferiranno leggere in bianco e nero materiali quali quelli citati, che notoriamente rendono il massimo con i colori, sono proprio fuori strada!
Purtroppo ho l’impressione che, al di là delle (errate) strategie aziendali, i problemi siano ben più gravi: in altre parole temo che i margini di sviluppo della tecnologia eink non siano elevati, motivo per cui è altamente probabile che la contrazione nelle vendite di ereader, prevista da un po’ tutte le società di analisi, troveranno nei prossimi anni puntuale riscontro.
Del resto non è lo stesso Serbinis, nel momento in cui dichiara che il nuovo Kobo AURA HD è pensato come un “regalo” per quei lettori forti che “consumano” annualmente centinaia di libri, ad ammettere implicitamente che ci si rivolge ad un target minoritario e che in futuro, salvo convergenze (al momento non ricercate) con i tablet, agli ebook reader spetterà un ruolo di nicchia?

Amazon svela alcuni segreti della tecnologia Paperwhite: rappresenta davvero lo stato dell’arte?

Amazon ha postato su Youtube un video nel quale svela con maggior dovizia di dettagli alcuni aspetti tecnici relativi al funzionamento del suo nuovo display Paperwhite: in particolare viene spiegato in modo intuitivo come sia stato concepito e realizzato il nuovo sistema di illuminazione frontale (front-lit) grazie al quale è possibile leggere anche in un ambiente non illuminato (il caso classico è a letto prima di addormentarsi).

In sostanza, come si sarà evinto dalla visione del video, diversamente da uno schermo LCD a retroilluminazione, nel Paperwhite la luce arriva dall’alto preservando così i due vantaggi da sempre riconosciuti all’inchiostro elettronico: a) il non affaticare la vista b) la perfetta leggibilità anche nel caso in cui lo schermo sia esposto direttamente ai raggi del sole o comunque usato in un ambiente altamente illuminato.
Il vero capolavoro tecnologico di Amazon comunque non è stato semplicemente l’aggiungere la luce bensì il modo attraverso cui si è raggiunto l’obiettivo: rispetto al Nook Touch Glowlight di Barnes & Noble, che pure è fornito di un particolare reticolo di diffrazione per meglio diffondere la luce emessa dal LED posto sul bordo superiore dell’ereader stesso, l’illuminazione complessiva dello schermo risulta migliore (mentre nel lettore di B&N i bordi, specialmente quello superiore in prossimità del LED, risaltano nettamente, come si constata in questo viedo). I tecnici di Seattle sono stati in altri termini capaci di realizzare, al di sopra del touchscreen capacitivo, uno strato (dello spessore di mezzo millimetro) maggiormente capace rispetto ai device rivali di “trasportare” la luce per tutta la lunghezza del display e di “sparare” la luce verso il basso in modo nettamente più omogeneo (lo stesso sistema di controllo del livello di illuminazione appare più raffinato). Il risultato finale pertanto è davvero notevole tanto più che si è riusciti a non impattare negativamente sulle prestazioni della batteria.
Insomma, il Kindle Paperwhite è davvero un ottimo ereader anche se non posso negare la mia simpatia per il Kobo Glo, che in fatto di omogeneità dell’illuminazione non ha molto da invidiare (qui un video d’esempio) al ben più chiacchierato collega ma che, specifiche tecniche alla mano, a parità di dimensioni dello schermo (6 pollici) pesa meno ed è più fino e, aspetto da non trascurare (anche se qui entriamo nel soggettivo), ha un look decisamente più accattivante.
Per concludere, sicuramente con questa generazione “illuminata” di ebook reader è stata innalzata l’asticella delle caratteristiche tecniche minime indispensabili ma nemmeno si può dire che siano stati raggiunti gli obiettivi finali, ovvero da un lato la possibilità di fruire di contenuti multimediali (leggasi audio e video) dall’altro la comparsa dei colori, indispensabili per far sì che interi generi e tipologie (fumetti, graphic novel, magazine, riviste, etc.) possano venire fruiti con il massimo grado di soddisfazione anche attraverso gli ereader.