Il futuro delle biblioteche è uno dei temi più dibattuti negli ultimi anni dagli addetti del settore e non solo. L’ufficializzazione, alcune settimane fa, da parte di Amazon di un rumor che in verità girava oramai da tempo, ovvero che, analogamente a quanto già fatto con film e musica, l’azienda di Seattle a breve permetterà ai propri utenti / clienti l’accesso senza restrizioni (il programma si chiama, significativamente, Kindle Unlimited) al proprio catalogo di oltre 600mila libri in versione digitale a fronte di un pagamento mensile di appena 10 dollari, ha messo ulteriormente in fibrillazione un mondo, quello del libro e di tutto ciò che ci ruota attorno (case editrici, librerie e naturalmente biblioteche), che fatica a trovare un suo modello “sostenibile” e, con esso, un suo equilibrio.
Le reazioni e le analisi come al solito non sono mancate e sono spaziate dal classico “è la fine, prepariamoci a chiudere” (posizione così apocalittica da stroncare sul nascere qualsivoglia tentativo di dibattito e di controargomentazione) ad altre molto più ragionate e, proprio per questo motivo, stimolanti: “dobbiamo adeguarci ai cambiamenti imposti dal digitale” oppure, all’opposto, “dobbiamo continuare sul solco della tradizione, creandoci una nicchia” oppure ancora, specie nel caso delle biblioteche (riecheggiando Lankes, n.d.r.) “dobbiamo sganciarci dal libro e puntare tutto sulla capacità di creare nuove relazioni”.
Personalmente ritengo che una delle analisi più concrete e meritevole di approfondimento sia quella apparsa sulle colonne del Wall Street Journal: il titolo, Why the public library beats Amazon – for now, è a dir poco controcorrente rispetto alla communis opinio.
Secondo l’autore, Geoffrey A. Fowler, sono molteplici i motivi che per il momento sanciscono questa “superiorità” della biblioteca pubblica: la gratuità del servizio, la facilità dell’operazione di prestito, una sbagliata strategia di vendita di Amazon tale per cui Kindle Unlimited entra in conflitto con Prime (gli abbonati a questo servizio possono leggere gratis un libro al mese, numero più che sufficiente per la maggior parte dei lettori, n.d.r.) nonché la presenza di un catalogo “cumulativo” che non solo dal punto numerico non sfigura rispetto a quello del gigante dell’e-commerce ma che anzi primeggia sotto il punto di vista qualitativo. Fowler esegue, a riguardo, una minuziosa analisi del numero di best-seller presenti nel catalogo delle biblioteche pubbliche ed in quello di Kindle Unlimited, evidenziando come le prime siano indubbiamente meglio fornite. Qual è il motivo?
La causa va rintracciata in quella che Fowler definisce la hate-hate relationship instaurata da Amazon con gli editori e ben esemplificato, da ultimo, dalla disputa in atto con Hachette: questi, non a torto dal loro punto di vista, vedono di cattivo occhio i vari tentativi di abbassare i prezzi degli ebook e di accorciare la catena trattando direttamente con gli autori ed hanno trovato, in questo conflitto tra titani, un prezioso alleato nelle biblioteche (il fatto che i rapporti biblioteche – case editrici storicamente siano stati tutt’altro che idilliaci la dice lunga sulla qualità dei rapporti con Amazon…).
E qui veniamo al punto centrale della questione; scrive testualmente Fowler: “Publishers have come to see libraries not only as a source of income, but also as a marketing vehicle. Since the Internet has killed off so many bookstores, libraries have become de facto showrooms for discovering books” (il grassetto è mio, n.d.r.).
Non è da oggi che si discute sul ruolo che librerie e biblioteche possono svolgere in qualità di “vetrine” delle novità editoriali così come di “educatori” nell’utilizzo dei nuovi device di lettura e, a riguardo, posso sostanzialmente essere d’accordo purché vi sia la consapevolezza che si tratta, per le biblioteche, di un’arma a doppio taglio.
Nella letteratura specialistica, ad esempio, sono pressoché all’ordine del giorno gli articoli ed i libri che trattano di come progettare nuove ed accattivanti biblioteche o che presentano le nuove realizzazioni; si badi, non sono contrario a queste nuove biblioteche, tutt’altro (a chi non piacerebbe lavorare in un bel luogo di lavoro? Come posso sperare di richiamare utenti se non offro loro edifici accoglienti e funzionali?)! Semplicemente ritengo essenziale, proprio per evitare di cadere nel paradigma della library as a showrooom, che allorquando si avviano i progetti di nuove biblioteche / di restyling di esistenti, più che delle questioni “da archistar” (o perlomeno accanto ad esse, volendo concedere qualcosa all’estetica) si parli anche di conservazione, di catalogazione, di prestito, etc. vale a dire di tutte quelle attività che rappresentano il core, la ragion d’essere dell’istituto biblioteca.
Il non farlo equivarrebbe a ridurre le biblioteche ad una sorta di para-librerie, le quali come già anticipato stanno seguendo un percorso affine: in particolare le grandi case editrici che controllano le principali librerie di catena stanno progressivamente chiudendo i punti vendita periferici sostituendoli con nuovi ispirati al concetto di flagship store; quest’ultimo, guarda caso, nasce dalla constatazione che architettura, marketing e vendite sono strettamente connessi, in quanto il poter disporre di building (= negozi) che rappresentano essi stessi punti di attrazione all’interno del tessuto cittadino (= del bacino di clienti) funge da detonatore per la crescita del valore del brand e della sua notorietà (=> delle vendite).
Naturalmente mentre i gruppi editoriali hanno tutti i loro buoni motivi per cercare di migliorare le proprie vendite, le biblioteche, posto che anch’esse devono essere permeate dalla cultura del risultato (=> aumentare il numero di utenti, prestiti, etc.) e del miglioramento dei servizi erogati, non devono nemmeno operare come aziende private votate al profitto; pertanto non è necessario abbracciare le pratiche di marketing più spinte anche perché, come già ricordato, quella che nel breve periodo pare essere un’insperata ancora di salvezza potrebbe finire per trasformarsi, nel medio-lungo, nella loro definitiva condanna.
Posts Tagged ‘librerie’
18 Set
La biblioteca come showroom
27 Ago
Quando il caffè fa la differenza
Persino le poche settimane (agostane ergo vacanziere) trascorse nel Regno Unito mi sono state sufficienti per farmi un’idea di come alcuni cambiamenti strutturali, non ancora pienamente esplicati in Italia, stiano coinvolgendo librerie e biblioteche d’oltremanica (d’altronde se Amazon UK, nel giro di appena due anni, ha annunciato il sorpasso delle vendite di ebook sui corrispettivi cartacei vuole dire che il digital shifting c’è stato eccome!).
Intendiamoci, esteriormente librerie e biblioteche preservano il consueto aspetto: libri in bella mostra, scaffali, locali accoglienti e sedi di pregio o comunque in posizioni centrali. A cambiare è il messaggio che si rivolge al cliente / utente circa l’offerta di prodotti e servizi a quest’ultimo destinati; come si evince dalle foto pubblicate in questo post, specie per le librerie, all’oggetto libro non viene praticamente più riservato il posto di rilievo che ci si potrebbe attendere: certo, i nuovi arrivi ed i best sellers sono ancora in bell’evidenza sulle vetrine, ma è innegabile che ormai si punta su altro: personalmente sono stato sorpreso dall’enfasi con cui si sottolinea la presenza all’interno di librerie e biblioteche dell’ormai immancabile area caffè. Emblematico il caso di Waterstone’s qui sopra, con il brand della catena libraria presentato quasi con lo stesso rilievo di quello di Costa Coffee (la risposta britannica allo statunitense Starbucks, che oltreoceano ha fatto da apripista nel campo con l’ormai ventennale alleanza con Barnes & Noble per poi penetrare all’interno delle biblioteche di college ed università), al punto che vien da chiedersi se stiamo entrando in una libreria od in una caffetteria! Nelle biblioteche questa tendenza è meno accentuata, ma la presenza di un angolo caffè (e non sto parlando dei distributori automatici!) è la regola, del resto accolta anche nelle ultime realizzazioni in Italia.
Ma il punto più interessante, e qui avviene l’interessante “saldatura” tecnologica, è che, si tratti di caffè all’interno di librerie o di biblioteche, i tavolini o divanetti sono sempre affollati di gente intenta a leggere ebook con i suoi e-reader o che comunque armeggia su tablet e smartphone; evidentemente, nonostante la copertura Wi-Fi (con reti aperte!) delle città inglesi sia eccellente in quanto a qualità del segnale e a capillarità degli hot spot, gli utenti / clienti ricercano in questi luoghi il silenzio e la quiete che altrove non possono trovare.
Insomma, la possibilità già ventilata che librerie e biblioteche diventino luoghi privilegiati per il download e la lettura di ebook, ma in generale di diffusione di una cultura del libro digitale, sembra trovare una conferma gettando luci speranzose sul futuro di queste storiche istituzioni, mettendo però in conto una grossa, paradossale evenienza: che l’utente scelga un posto anziché l’altro non per la qualità dei servizi erogati o per la preparazione e gentilezza dei suoi addetti ma per la bontà (o meno) del suo caffè: insomma, dopo anni di discorsi e convegni sulla (certificazione della) qualità totale, la differenza potrebbe finire per farla il caffè!

Il Waterstone’s di Blackett Street a Newcastle upon Tyne. Anche qui in evidenza il proprio servizio bar (Café W)

Biblioteca del Baltic Centre for Contemporary Art (Newcastle upon Tyne): nella sala adiacente, da copione, si trova un piccolo ma decisamente accogliente caffè