Al mercato dello storage

Deutsche Borse trading floor

Deutsche Borse trading floor di Jonathan S. Cohen, su Flickr

La notizia non ha trovato grande eco presso i media italiani ma merita di essere qui ripresa: Deutsche Borse ha annunciato l’avvio, indicativamente per l’inizio del 2014, delle contrattazioni elettroniche su una particolare tipologia di “merce”: lo storage e le risorse di calcolo (CPU, RAM, etc.). Se l’intenzione è quella di ampliare in futuro l’offerta, per il momento l’obiettivo è di far incontrare tutti coloro che da una parte hanno bisogno di ulteriori spazi di memorizzazione e di computing capacity e coloro che, dall’altra, ne hanno in surplus.
Si tratta di una notizia che lascia solo per certi versi sorpresi: era infatti prevedibile che il medesimo processo di commoditisation che ha investito il settore dei personal computer prima o poi avrebbe riguardato anche quello “immateriale” dei servizi erogati in modalità cloud.
Ciò nonostante lascia perplessi la prospettiva di vedere il prezzo dello storage, sul quale qui per ovvi motivi mi concentro, fluttuare in base alle bizze dei mercati ed essere acquistato da broker alla stregua di un barile di petrolio o di una tonnellata di granaglie! Bisogna infatti chiedersi se, similmente a quanto accaduto con altri mercati, anche attorno a questo verrà costruito quel castello di prodotti finanziari che, portati all’estremo, tanti danni ha provocato. Considerando infatti che secondo molti analisti l’esistenza di un simile mercato va incontro all’esigenza, percepita da molti attori, di possedere spazi di memorizzazione in diverse giurisdizioni (agevolando in tal modo la compliance alle norme ed agli standard in vigore nei diversi Stati) non ci sarebbe da stupirsi se si tutelasse l’investimento (poniamo che uno debba comprare spazio di storage in Egitto, giusto per fare un esempio di estrema attualità) con quegli strumenti finanziari (vedi gli swap) tristemente famosi.
Ma al di là delle considerazioni finanziarie quello che preoccupa “archivisticamente” è la “banalizzazione dello storage” sottesa al processo di commoditisation: nonostante le rassicurazioni fornite da Deutsche Borse in ordine all’elevato livello qualitativo delle risorse ammesse alle contrattazioni e la presenza di operatori dalle indubbie capacità (a riguardo vengono citati non solo operatori commerciali come T-Systems ma anche soggetti appartenenti al mondo accademico come il Leibniz Rechen-Zentrum il quale, per intenderci, fornisce i servizi informatici per le varie università di Monaco di Baviera nonché per l’Accademia Bavarese delle Scienze), confesso che nutro più di una perplessità sulla qualità “archivistica” del servizio che verrà acquistato.
Mi sembra infatti lontano anni luce il mondo degli archivi, istituti impiantati (e uso questo termine proprio per sottolineare la solidità che li dovrebbe contraddistinguere nel tempo!) per durare secoli, con l’aleatorietà di uno scambio di borsa portato a termine in maniera telematica: detta in altri termini mi pare che la comprensibile fretta di avere ulteriore spazio di storage nella quale può venirsi a trovare un qualsivoglia soggetto produttore (perché questo è in ultima analisi il compratore!) mal si concili con i tempi, inevitabilmente più lunghi, necessari per realizzare un consistente sistema archivistico. Ritorniamo dunque al problema di fondo, ripetutamente evidenziato in questo blog, che lo storage, così com’è concepito da molti provider, ha spesso gran poco da condividere con l’archiviazione.
Naturalmente i miei possono essere timori infondati ed anzi l’auspicio è proprio che, dopo la seicentesca bolla dei tulipani, non ci si ritrovi a fronteggiare, nel prossimo futuro, ad una non meno bizzarra bolla dello storage!

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