Quando si parla di “informatica negli uffici” si tende, complice anche l’inserimento della questione nel programma del partito politico risultato poi vincente alle ultime elezioni, a pensare soprattutto alla “dematerializzazione”, vale a dire all’abbandono dei vari supporti analogici (carta su tutti), ritenuti ingombranti e costosi, per lasciar posto a quello digitale, per contro ritenuto conveniente e flessibile.
In realtà tutti sanno che non è sufficiente sostituire una macchina da scrivere con un PC per poter dire di aver veramente “informatizzato” un ufficio se poi l’uso che si fa del PC è equivalente a quello di una macchina da scrivere: intendiamoci, già l’uso di un programma di videoscrittura rappresenta un buon passo in avanti, ma è altresì superfluo sottolineare che il vero “cambio di passo” lo si può ottenere modificando (con termine tecnico “reingegnerizzando”) le modalità di lavoro ed adattandole ai nuovi strumenti a disposizione.
Purtroppo quest’opera di “reingegnerizzazione” è tanto più difficile quando si tratta di uffici della Pubblica Amministrazione, dove bisogna attenersi a normative che più che al raggiungimento spedito dei risultati mirano a garantire la correttezza dell’operato sotto il profilo giuridico-formale e dove è difficile diffondere una “cultura informatica”, la quale sottintende un aggiornamento continuo delle competenze professionali ed altrettanti mutamenti nel modo di lavorare, abbandonando consolidate e tranquillizzanti prassi operative.
In un simile contesto mi chiedo quale potrà essere l’impatto di uno strumento come il nuovissimo Olipad Graphos, tablet della Olivetti esplicitamente destinato ad un’utenza business oltre che, appunto, alla Pubblica Amministrazione, la cui peculiarità è la possibilità di firma grafometrica con pieno valore legale. Come si appone ed in cosa consiste questa firma? In pratica attraverso una speciale penna in dotazione assieme alla tavoletta il sottoscrittore firma così come farebbe con un qualsiasi documento cartaceo; il dispositivo acquisisce in automatico sia l’immagine della firma che i parametri salienti del sottoscrittore quali pressione esercitata, ritmo, movimento, velocità, accelerazione.
Si tratta di un sistema per il quale, vista la sua facilità d’utilizzo, è prevedibile un impiego generalizzato (al momento Olivetti si limita ad indicare come possibili settori d’utilizzo “l’emissione di verbali di sopralluoghi ed interventi tecnici, rivolte sia al mercato delle Utilities sia alla Pubblica Amministrazione” ed in generale “soluzioni di automazione e dematerializzazione del libro firma delle aziende e della PA”) e che potrebbe far piazza pulita di tutti quei molteplici tipi di firma (elettronica e digitale, più o meno qualificata) normati dal legislatore e che a mio avviso hanno ottenuto l’unico risultato di generare ulteriore confusione oltre che di creare ex novo problemi di non facile soluzione (come la durata delle marche temporali e la loro conservazione).
Se di primo acchito l’arrivo della firma grafometrica è dunque da salutare con favore, alcune semplici valutazioni di tipo archivistico consentono di individuare alcune criticità che dovrebbero indurre, specie nella Pubblica Amministrazione, ad abbracciare con le dovute cautele questo per il resto interessante dispositivo (e gli altri con le medesime caratteristiche che sicuramente verranno).
Il primo aspetto da considerare è ovviamente quello della sicurezza: su quella intrinseca di questa modalità di firma non ho modo di esprimere giudizi (in genere è communis opinio che i metodi di autenticazione basati su dati biometrici siano praticamente inviolabili ma la storia dell’informatica è piena di sistemi considerati insuperabili e poi puntualmente aggirati, motivo per cui non è da escludere che il ritornello si ripeta; diciamo dunque che la firma biometrica offre standard di sicurezza elevatissimi ma è, come tutti i sistemi umani, fallibile), nutro invece qualche dubbio sul “sistema tablet” nel suo complesso. Il fatto che l’accesso al dispositivo avvenga attraverso la lettura delle impronte digitali del legittimo proprietario a mio avviso non è sufficiente: si impedisce, quello sì, che persone non autorizzate utilizzino il dispositivo ma d’altro canto un dispositivo mobile come una tavoletta è per sua natura maggiormente a rischio di perdita o furto e con esso di tutti i documenti firmati in esso contenuti. Per fare un parallelo è come se un ladro, introdottosi negli uffici di una Pubblica Amministrazione, rubasse non solo gli appetibili PC ma anche i faldoni (cartacei) che, nonostante la sbandierata dematerializzazione, continuano ad affollarne armadi e scrivanie. Insomma, un doppio danno!
Questa considerazione ci porta al secondo punto: nel momento in cui si inizia ad operare in mobilità la necessità di opportune operazioni di back-up / storage diviene un imperativo se possibile ancor più categorico. Ed in mobilità come vorrai mai effettuare queste operazioni? Con il cloud computing ovviamente (già, perché non vorrai mica metterti ogni sera con il cavetto a scaricare i dati? vuoi mettere la comodità di un sistema che ti fa l’upload su server sicuri e ti sincronizza in automatico i dati mettendoli immediatamente a disposizione dell’organizzazione?)! E qui ritorniamo ai soliti problemi: o la Pubblica Amministrazione si rivolge a servizi di privati (a proposito Olivetti non lo scrive esplicitamente ma è più che verosimile che la soluzione cloud di riferimento sia quella in-house di Nuvola Italiana di Telecom Italia) oppure, scelta lungimirante, si decide una volta per tutte a realizzare queste infrastrutture strategiche.
Del resto, ultimo aspetto da valutare, nel momento in cui si realizzano queste strutture informatiche, imprescindibili per l’attività ordinaria e straordinaria dell’organizzazione, è necessario considerare aspetti di compatibilità ed interoperabilità; in particolare l’introduzione dei dispositivi mobili sta creando grattacapi non indifferenti ai responsabili IT dal momento che questi device hanno applicazioni basate su sistemi operativi (iOS ed Android) che mal si adattano con i software prevalentemente in ambiente Microsoft già presenti negli uffici. In questo senso Android, SO libero ed open source, è assolutamente preferibile ad iOS non avendo del resto a mio avviso senso attendere i futuri dispositivi con Windows 8. A ben vedere l’avvento del mobile nei pubblici uffici, pur con tutti i nodi irrisolti e le difficoltà che esso rappresenta, potrebbe costituire l’occasione giusta per abbandonare i prodotti dell’onerosa Microsoft (non si parla sempre di ridurre i costi?) ed abbracciare finalmente l’universo open source così come per cambiare davvero il modo di lavorare nella PA (con evidenti impatti sui flussi documentali) e realizzare qualcosa che si avvicini a quegli “uffici senza carta” finora utilizzati come uno slogan propagandistico o poco più.
Ma soprattutto, e chiudo, il passaggio al mobile può contribuire al riallineamento tra prassi amministrativa e corretta tenuta archivistica dei dati e dei documenti all’interno di una aggiornata cornice informatica.
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