Backup atomico adieu?

Old paper

Old paper di lizzie_anne, su Flickr

L’altro giorno ho assistito ad una interessante conferenza del professor Paolo Calvini dal titolo “Recenti studi sulla cinetica di degradazione della cellulosa: una rivoluzione Copernicana?”.
Confesso che, visto il taglio molto “chimico” dato alla relazione, per un “umile umanista” come il sottoscritto alcuni passaggi sono risultati un po’ oscuri, ma il messaggio è giunto ugualmente chiaro: a causa anche di una ricerca scientifica che talvolta ignora (volutamente?) le leggi della chimica, le attuali convinzioni su modalità e tempi di degradazione della carta sono del tutto erronee.
Ok, buono a sapersi mi direte, ma perché ve ne parlo in questo blog? Il motivo è semplice: come ben saprete nutro più di una perplessità sulle possibilità di conservazione nel lungo periodo dei contenuti digitali (ebook e documenti in primo luogo) e questo non tanto per l’impossibilità tecnologica di farlo ma per i costi proibitivi e soprattutto l’improbabilità che la necessaria volontà di conservazione rimanga immutata per così tanto tempo. Infatti la conservazione del digitale implica la presenza di un’organizzazione strutturata che garantisca nel tempo la continuità operativa (con periodici aggiornamenti) del sistema all’interno del quale risiedono gli oggetti digitali. Tutti obiettivi possibili ma che, come dicevo, impongono al soggetto che si fa carico della conservazione di farlo teoricamente sine die e di “non poter non farlo” (indisponibilità del proprio fine) a tal fine dotandosi di tutti i mezzi strumentali, finanziari, etc. necessari al raggiungimento dello scopo.
Al contrario l’esperienza di questi ultimi cinque secoli insegna che il supporto cartaceo è relativamente meno oneroso da gestire e, se conservato in idonee condizioni ambientali, dura per centinaia e centinaia di anni senza che si renda praticamente necessario l’intervento (attivo) umano. Ciò è tanto più vero per quei libri e documenti redatti grosso modo fino al XVIII secolo; dall’Ottocento in poi l’industrializzazione dei processi di produzione della carta (e l’utilizzo di prodotti chimici) ha abbassato il livello qualitativo della carta stessa.
La constatazione di questo comportamento antitetico dei due diversi supporti (conservazione del digitale problematica ed onerosa VS conservazione materiali cartacei possibile – comprovata dall’esperienza – purché su carta di “qualità”) ha spinto alcuni ad ipotizzare che sarebbe saggio predisporre la stampa su carta non acida di quei documenti, nativi digitali, ritenuti maggiormente significativi della nostra società. Questa teoria, sviluppata oramai un decennio fa, a mio parere rimane tuttora valida, tanto più che nel frattempo non si sono affacciate tecnologie capaci di risolvere il problema, anzi si sta andando verso un futuro “nebuloso” caratterizzato dal cloud computing.
Ora, la relazione di Calvini ha fatto vacillare anche quest’ultima certezza! Infatti in base ai suoi studi le tecniche di invecchiamento artificiale usate dalle industrie cartarie per simulare tempi e modalità di degradamento future della carta non sono affidabili; per esserlo i principali test usati dovrebbero durare mesi ed anni e non giorni o al massimo settimane!
Arriviamo dunque al punto dolente della vicenda: si tratti della carta o di un disco ottico le aziende produttrici, pur di “vendere il prodotto”, dichiarano prestazioni (confermate da “severissimi” test) da favola. Purtroppo le “rivelazioni” di Calvini ci dicono che su questi test possiamo fare gran poco affidamento e vien da chiedersi se ciò valga anche per la carta non acida alla quale potremmo aver deciso di affidare i nostri documenti più importanti!
Rebus sic stantibus quali alternative ci rimangono? Posto che personalmente ritengo che la strategia conservativa migliore sia “la moltiplicazione delle strategie di conservazione” (perdonate il gioco di parole) a fianco della normale conservazione del digitale (meglio se all’interno di un sistema) mi terrei buona la possibilità, come extrema ratio, del citato backup atomico con l’accortezza di farsi coadiuvare, nel momento della scelta della propria carta non acida, di quella nuova figura di esperto (prospettata sempre da Calvini) che è il paper conservation scientist: essa ci potrebbe ad esempio confermare, attraverso opportuni esami di laboratorio, se il la carta non acida individuata è veramente “buona” ed adatta allo scopo della conservazione nel lungo periodo, in tal senso evitando al soggetto conservatore di sprecare preziose risorse in prodotti che non sono all’altezza dello scopo.

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