#SalTo14: Franceschini, il libro in TV e l’ennesima chance per le biblioteche


La ventisettesima edizione del Salone del Libro di Torino non poteva iniziare in modo più scoppiettante: il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, accorso per l’inaugurazione, ha puntato il dito contro la TV, “rea” di aver arrecato danni incalcolabili al libro ed alla lettura (ricordo che il Salone è nato proprio come momento di promozione del libro e, di conseguenza, della lettura; n.d.r.); secondo il nostro, le varie RAI, Mediaset, Sky, etc. dovrebbero ora riparare alle proprie “malefatte” inserendo nei rispettivi palinsesti programmi dedicati al libro o quanto meno assicurando a quest’ultimo maggior spazio (anche pubblicitario).
Personalmente trovo l’uscita del ministro anacronistica sotto più punti di vista ma soprattutto perché sottende l’idea doppiamente dirigistica che 1) si possa “imporre” alle emittenti televisive la programmazione nella convinzione che 2) la lettura possa essere promossa / imposta dall’alto, senza rendersi conto che i tempi sono cambiati (esiste un qualcosa di oscuro che si chiama Rete) e pertanto il dualismo “televisione VS lettura” è del tutto superato.
Eppure per rendersi conto che il mondo, imperterrito, va avanti basterebbe essersi letti l’intervista rilasciata pochi giorni fa al Corriere da Russ Grandinetti, vice presidente di Amazon con delega sui contenuti Kindle, oggigiorno bisogna sapersi muovere in un contesto nel quale la fruizione di contenuti, siano essi audio, video oppure testuali, avviene in momenti “interstiziali” (nel metrò, in attesa in banca, etc.) a partire da molteplici device.
Ne discende, nella visione di Amazon, che detti contenuti debbano essere fruibili nel migliore dei modi a partire da tutti questi dispositivi e che, affinché la scelta sia più libera possibile, tra i rispettivi prezzi (dei contenuti, n.d.r.) non vi debbano essere differenze abissali. Se “una canzone costa 0,99 centesimi, con 2,99 dollari puoi vedere o noleggiare un film e i giornali in alcuni casi li leggi gratuitamente” non si può sperare che gli ebook sconfiggano la concorrenza a meno che il loro prezzo non sia altrettanto allettante.
Si ripropone, pertanto, il problema dell’IVA applicata (sulla quale oggi Franceschini ha peraltro detto di essere al lavoro), delle strategie da mettere in atto per rendere il libro (digitale e non solo) appetibile ed in generale per far sì che si legga di più.
Se Amazon si sta già attrezzando allo scopo (da una parte attraverso l’ampliamento della propria famiglia di device dagli ereader ai tablet e prossimamente agli smartphone, dall’altra mediante l’offerta praticamente flat di film in streaming e libri a fronte del pagamento di un fisso relativamente equo), che stanno facendo le biblioteche per affrontare simili cambiamenti strutturali?
Il discorso è amplio e rischia di portarci fuori strada: sintetizzando nell’attuale dibattito italiano si sta sì ponendo grande attenzione al tema del digitale in biblioteca ed a quello, correlato, della presenza in Rete e sui social network ma nel contempo il libro (sia esso analogico o digitale) sta perdendo centralità: da una parte infatti vi è chi ritiene che la biblioteca debba andare “oltre” al libro, dall’altra chi crede, al contrario, che essa debba rimanere fedele alla propria missione di selezione, intermediazione e facilitazione nell’accesso alle risorse informative (proprio al Salone interverranno sull’argomento, riprendendo il discorso avviato a marzo alle Stelline, Maria Stella Rasetti e Riccardo Ridi).
In altri termini i bibliotecari / le biblioteche stanno procedendo ad una necessaria review interna che però rischia di accentuare il ritardo che già si accusa “nel digitale”. Eppure idee e soluzioni che rappresentano il giusto connubio tra le due linee di pensiero esistono: il progetto The Underground Library della New York Public Library, ad esempio, mira a contendere ad Amazon & Co. proprio quei “nuovi” lettori descritti da Grandinetti: in pratica finché si è in metropolitana (senza connessione), invogliati da poster che immortalano scaffali pieni di libri, vi si avvicina il proprio smartphone con sensore NFC e si scarica l’anteprima di un libro; una volta riemersi in superficie (e ripristinata la connessione), ci viene indicato sul display del telefonino dove si trova la biblioteca più vicina nella quale poter recuperare (se ci era piaciuto) il libro che avevamo iniziato a leggere.
Che dire, proprio un bel modo per unire geottagging a promozione della lettura, ricordando nel contempo alla gente che le biblioteche continuano ad esistere e che vi possono sempre trovare un libro interessante da leggere!
Ma ovviamente si potrebbero ipotizzare altre strategie affini: ad esempio come non pensare, nel momento in cui si rendono disponibili hot-spot pubblici in molte di quelle zone descritte da Amazon come i luoghi principe nei quali avvengono le nuove modalità di lettura, all’invio da parte della biblioteca del posto di un messaggio contenente un invito a leggere / scaricare un libro o, più genericamente, di accedere al sito / catalogo della stessa?
Personalmente ritengo che l’utilizzo di simili strategie, basate su un mix di tecniche push / pull, potrebbero dare ottimi risultati e se è innegabile che esse sono adatte soprattutto per tessuti urbani di notevoli dimensioni, è altrettanto verosimile che con gli opportuni aggiustamenti esse potrebbero risultare applicabili con successo anche in altri contesti.
Insomma, sta alle biblioteche (o meglio, ai bibliotecari), cogliere le opportunità che si propongono e che potrebbero consentire loro di stare al passo con i tempi senza perdersi in sterili settarismi.

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4 responses to this post.

  1. Ben detto. Anacronistica è quasi un eufemismo. Aggiungerei solo che se Franceschini avesse letto quel formidabile pamphlet di Freccero intitolato “Televisione”, saprebbe che la battaglia (vecchia e radical chic) per elevare i contenuti e la promozione culturale in tv è stata persa circa venticinque anni fa.
    Ho visto un veloce botta e risposta su twitter dove RaiTre faceva notare che una certa programmazione orientata ai libri e alla lettura resiste. Ma è, appunto, una nicchia. Che la politica poi affronti il tema lettura pensando (anche che non lo dice) alle biblioteche come attivitá unicamente impegnate nello stoccaggio dei libri è un problema nostro. Il j’accuse del ministro non fa che ripetere una tiritera qualunquista, sospetto. Tanto vale dire: promuoviamo la cultura (e poi tagliamo fondi a destra e a manca, o piazziamo gente nei posti chiave – vedi agenda digitale – che ti chiedono “email in triplice copia” e usano excel al posto del google calendar o ignorano completamente, come i musei civici veneziani, iniziative come #invasionidigitali).

    Quanto alle biblioteche, sai già come la penso, il passo successivo è forse quello non tanto del push/pull (non sottovalutiamo il ritardo culturale medio, fuori dalle grandi città e dove sono assenti le università, nella frequentazione della vita digitale), quanto del bibliotecario stesso geolocalizzato. Però ci vogliono skills e balzi nella modernità che attualmente le amministrazioni non vogliono (non non-possono) permettersi. Determine, delibere, impegni di spesa, corsi amministrativi, insomma o ho qualcosa che non va io oppure mi sembra una follia impegnare la giornata di un bibliotecario con queste attività. Siamo strapieni di amministrativi, usiamoli e affrianchiamoci, no?

    E, come dici giustamente, altre strategie vanno benissimo. Solo che senza conoscere il web, il codice e gli strumenti per emanciparsi dall’ignoranza dei processi digitali la vedo dura. Ma tanto.
    Ciao.

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  2. Posted by Simone Vettore on Maggio 13, 2014 at 11:38 PM

    Ciao Marco,

    per “bibliotecario geolocalizzato” che intendi esattamente?
    Non capendo esattamente tale locuzione, spero di non travisare il tuo pensiero e replicare fuori tema…
    Aspetto dunque con curiosità “maggiori dettagli” ma anticipo che, a mio parere, non dobbiamo mai perdere di vista che è LA BIBLIOTECA in quanto tale che dobbiamo mettere al passo con i tempi (obiettivo che anche in ambito di social network non può prescindere dalla presenza di quelle infrastrutture che, come visto, stanno alla base degli esempi presentati nel post).
    Certo, poi concordo che le infrastrutture sono inutili se non vi è personale formato ed adeguato e dalle ampie vedute… ma per questo aspetto appunto “lumi” sul bibliotecario geolocalizzato!

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    • Colpa mia, avrei dovuto usare la definizione giusta: embedded librarian.

      Sono un po’ di fretta ma segnalo al volo il blog post di Laura Testoni su Refkit (“Essere embedded librarian, cosa vuol dire e perchè non è poi cosí male”).
      È un inizio no?
      Non solo, si potrebbe andare oltre e seguire quello che sta succedendo con il mobile altrove. “Scorporarsi” dalla struttura e dai reference desk non è certo una novità. Se non sbaglio a breve WebJunction o LJ proporranno a breve un webinar proprio su mobile reference e affini.

      Spero basti, ciao!

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      • Letto il post, molto interessante ed equilibrato (specie quando l’autrice ricorda come non si possa prescindere dalla “possibilità di accedere a una robusta e completa collezione di documenti digitali”)!
        Certo, siamo in ambito accademico ma spunti interessanti la figura dell’ “embedded librarian” ne da eccome! Non vorrei però che, sotto sotto, si ritornasse alla solita figura del mediatore d’informazione a 360 gradi rispetto alla quale conosci già la mia opinione…

        Ciao e grazie davvero per il prezioso contributo

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