Ho ripetutamente sostenuto, in questo blog e non solo, circa l’opportunità che archivi e biblioteche si facessero promotori della costruzione di data center pubblici (nel senso di stretto proprietà pubblica, non di public cloud!) analoghi a quelli che i colossi dell’informatica vanno costruendo oramai da un lustro in giro per il globo e che sono destinati ad ospitare gli archivi digitali del futuro (prossimo).
Purtroppo questo mio desiderata è, a giudicare dall’evoluzione dello scenario tecnologico, ben lungi dall’avverarsi; anzi, a guardare le scelte strategiche prese nel frattempo dai player globali, il timore che oramai si sia fuori dai giochi è più forte che mai.
Giusto per dirne una, allo stesso cloud computing, locuzione all’interno della quale si è buttato un po’ di tutto, è sempre meno collegata l’idea di fornire un mero “spazio” all’interno di un server (aspetto che lo ha reso di primario interesse per le implicazioni archivistiche).
Al contrario, si sta scendendo sempre più di livello e, ad esempio con Docker si perseguono obiettivi di “snellimento” degli ambienti sui quali girano le varie applicazioni che, in prospettiva, potrebbero mandare in pensione le classiche virtual machine (VM).
Si badi, niente che riguarda direttamente gli archivi (anche se mi viene da pensare che un ambiente più snello qual è quello container potrebbe render più agevole lo sviluppo di programmi di tipo EaaS; emulation as a service), ma resta il fatto che ancora una volta gli archivi sono ad inseguire l’evoluzione tecnologica, la quale, tanto per cambiare, continua ad essere guidata dai soliti colossi. Per restare in tema di container basta guardare a quanto fatto di recente da Google, che ha “ceduto” il controllo di Kubernetes, la sua piattaforma open-source che offre gli strumenti di comando per quei sviluppatori che utilizzano, per l’appunto, i container, stipulando nel contempo una sorta di pax (ma con i contorni di una vera e propria alleanza) con tutti i colossi parimenti interessati a questa evoluzione: Amazon, Microsoft, Rackspace, Red Hat, etc.
Inutile dire che le carte che si possono giocare gli archivi e le biblioteche, in questo contesto, sono davvero minime al punto che, probabilmente, è bene prendere atto di tutto ciò e cambiare strategia: se non si può essere attivi in prima persona, sarebbe almeno opportuno riuscire ad agire a livello “politico” ottenendo che gli archivi sulla nuvola, ed i meccanismi che li governano, siano “scientificamente” adeguati e gestiti in modo deontologicamente corretto.