Quello che segue è, più che un post “convenzionale”, una riflessione ad alta voce ispirata, come spesso mi capita in questi periodi postvacanzieri, dai viaggi effettuati.
Questa volta l’input proviene dalla visita del Guggenheim Museum di Bilbao: qui, tra “classici” dell’arte contemporanea ed installazioni ben più avveniristiche, non ho potuto far a meno di ritornare con la mente ad un argomento spinoso al quale un po’ di tempo fa avevo già dedicato qualche riga: come conserveremo questi “capolavori” ed in special modo quelli ad elevato “contenuto tecnologico”?
Si pensi all’opera di Jenny Holzer, Installation for Bilbao: 9 colonne alte 13 metri ciascuna attraverso le quali, grazie alla presenza di luci LED, scorrono dall’alto al basso parole scritte in più lingue. Se vogliamo che l’installazione, concepita specificatamente per il Guggenheim (le luci vengono infatti magnificamente riflesse dalle lastre in titanio che rappresentano le squame del pesce-museo ideato da Frank Ghery creando una sorta di “zona blu” nella quale i visitatori sono invitati ad entrare attraversando le colonne, assumendo un ruolo attivo nel processo di fruizione dell’opera; n.d.r.), possa essere goduta anche in futuro dobbiamo conservare, oltre al museo stesso, pure il software che gestisce il flusso delle parole, e l’hardware (i LED, le colonne, etc.).
Un compito non meno gravoso spetterà a coloro che saranno chiamati a conservare l’installazione, questa volta temporanea, The Visitors dell’islandese Ragnar Kjartansson: si tratta di nove schermi HD su sette dei quali vengono rappresentati altrettanti musicisti che suonano diversi strumenti (pianoforte, violino, chitarra, batteria, etc.) mentre sui rimanenti due si vede la “band” al completo. L’audio è diffuso in modo tale che se si resta al centro della sala si percepisce la musica nel suo insieme mentre se ci si avvicina ad uno degli schermi con i sette strumenti è quest’ultimo a prevalere. In tal caso non sarà sufficiente conservare le sole tracce audio e video ma, al fine di assicurare la fruizione così come intesa dall’artista, bisognerà anche aver ben presente come disporre il tutto! Inoltre non bisogna dimenticare che eventuali cambiamenti nella stessa definizione della qualità audio / video comporterebbe de facto alterare l’opera e ciò potrebbe contrastare con la volontà dell’artista!
Proprio sulla collaborazione con i vari artisti / autori sembra puntare molto lo staff (multdisciplinare) del Guggenheim deputato alla conservazione: ad esempio, relativamente all’opera “Installation for Bilbao”, decisivo è stato il contributo della Holzer e dei suoi collaboratori nella fase preliminare di studio dell’opera, finalizzata alla comprensione dell’opera ed all’individuazione degli elementi – tecnici ed estetici – fondamentali (= insostituibili, cioè da conservare) e di quelli, al contrario, trascurabili (= sostituibili).
Fatto ciò, è possibile passare alla fase “operativa”, riassumibile nell’obiettivo di assicurare “[a] constant updating in order to solve issue of obsolescence“.
Mi sembra si tratti di una metodologia assai efficace e che potrebbe essere fatta propria anche in altri ambiti, quali quello archivistico e librario, tanto più considerando che la presenza di figure e competenze multidisciplinari nei team di conservazione è oramai data per assodata.
In particolare credo vada rimarcato come l’azione di studio non sia più prettamente preliminare alla fase conservativa in senso stretto ma al contrario come entrambe si facciano “dinamiche”: l’attività di studio (con particolare attenzione agli aspetti tecnologici) si fa continua e sulla base delle risultanze di quest’ultime si adeguano le metodologie e le procedure esecutive.
Si entra in altri termini in un circolo continuo nel quale l’unico elemento di continuità, fondamentale date le risorse richieste, è rappresentato dalla presenza di un’istituzione / istituto stabile che assicuri che nel corso degli anni non venga mai meno lo sforzo conservativo.
Peccato che il panorama di archivi e biblioteche, in Italia, veda sì la presenza di strutture con tradizioni secolari ma sistematicamente private di risorse (finanziarie, tecnologiche ed umane) al punto da somigliare in buona parte dei casi a grandi scatole vuote, mere organizzazioni burocratiche con capacità operative sempre più ridotte.
23 Ago